04 dicembre 2009

Migliaia di carte di credito bloccate anche in Italia, la frode arriva dalla Spagna

Le indagini non sono ancora terminate, ma il furto ha coinvolto le banche di tutta Europa.

di Barbara Cataldi dal sito ilsalvagente.it

A qualcuno è successo di pagare una cena al ristorante a Madrid e di ritrovarsi un mega addebito dall’Arabia Saudita. Qualcun’altro ha fatto shopping a Ibiza e mesi dopo si è visto prosciugare il conto. Qualcun’altro, invece, ha passato le vacanze a Barcellona la scorsa primavera e ora si è ritrovato con la carta di credito bloccata. Nel corso di quest’anno, pirati informatici molto raffinati hanno messo a segno uno dei migliori furti di dati sensibili degli ultimi tempi. Le carte di credito e i bancomat che sono riusciti a “crackare” sono stati usati dai loro legittimi proprietari in Spagna, ma appartengono a cittadini che vivono in tutta Europa, anche in Italia.


In Germania più di 100.000 ritiri
Per questo problema solo un paio di settimane fa in Germania i maggiori istituti di credito hanno messo in atto il più grande blocco di carte di credito di tutti i tempi. Così almeno raccontava la stampa nazionale. Più di 100.000 carte sono state ritirate a scopo precauzionale per evitare che i loro proprietari si vedessero prosciugare il conto.

Anche in Italia è in atto il blocco
E in Italia? Nel nostro Paese le persone coinvolte dal blocco potrebbero essere alcune decine di migliaia. Se qualcuno, allora, in questi giorni si ritrova con la carta di credito inutilizzabile non si spaventi. Cerchi di ricordare se nel corso del 2009 è stato in Spagna e ha pagato qualcosa. In questo caso rientra nella categoria “a rischio” e probabilmente la sua banca gli ha bloccato la carta di credito o il bancomat in via preventiva. Già perché mentre alcuni istituti di credito, prima avvisano il cliente e poi stoppano il servizio, altri invece prima chiudono il rubinetto e poi inviano una lettera per informare che è necessario buttare la vecchia carta e aspettare l’arrivo della nuova. Mettendo naturalmente in grandi difficoltà il proprio cliente.

Deutsche Bank ha avvisato i clienti
“I clienti di Deutsche Credit Card”, fanno sapere però dalla Deutsche Bank, intervistata sul caso da il salvagente.it, “sono stati preventivamente avvisati tramite posta prioritaria del blocco della propria carta e della conseguente sostituzione. La nuova carta verrà spedita entro 2 giorni lavorativi dalla data di blocco. Inoltre eventuali transazioni non riconosciute dal cliente, saranno prontamente riaccreditate”.Per capire la gravità della frode che si è consumata in Spagna e di cui ancora non si conoscono i particolari, visto che le indagini sono ancora in corso, basta pensare che questa operazione precauzionale alle banche è costata davvero molti soldi.

Un'operazione da diversi milioni di euro
Il cambio di qualche migliaio di carte di credito costa la bellezza di 300.000 euro. Ciò vuol dire che solo in Italia per questo scherzetto le banche sono state costrette a sborsare diversi milioni di euro.Le prime segnalazioni di anomalie sull’uso della carte sono state eseguite da Visa e Mastercard addirittura a gennaio scorso. Agli episodi iniziali, però, non è stato dato molto peso, dal momento che le frodi sulle carte di credito sono all’ordine del giorno e tra l’altro in costante crescita. Nel 2009 sono balzate dell’11% rispetto all’anno precedente.


Bloccati anche i bancomat
Strane transazioni avvenute nelle parti più disparate del globo hanno continuato a essere segnalate fino a quando tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre si è concentrato un picco di furti dai conti dei proprietari di migliaia di carte di credito. A questo punto le banche si sono mobilitate quasi tutte contemporaneamente e hanno deciso di mettere in atto il blocco delle carte di credito e dei bancomat utilizzati in Spagna nel corso del 2009.

Due ipotesi al vaglio degli inquirenti
I colpevoli del furto informatico, però, ancora non si conoscono. Per ora chi fa le indagini, condotte dalla polizia spagnola, sta vagliando due ipotesi di frode. La prima è che all’interno di una delle società che gestiscono i flussi delle transazioni nel percorso che va dal pos alla banca ci sia un dipendente disonesto che ha sottratto e poi rivenduto un file contenente migliaia di nomi e numeri di carte di credito. Un episodio del genere però sarebbe facilmente verificabile, dal momento che il sistema permette di vedere se qualcuno ha manomesso o trafugato i dati. Dunque, non si spiega come mai le banche, a un anno dalle prime segnalazioni, ancora non siano riuscite a capire se il furto è stato messo a segno in questo passaggio o meno.

Pirati informatici molto sofisticati
La seconda ipotesi, invece, molto più inquietante della prima, è che qualcuno con conoscenze tecnologiche assai sofisticate si sia incuneato nelle linee telefoniche attraverso cui viaggia il flusso di dati e li abbia registrati. Insomma, il pirata in questo caso avrebbe la capacità tecnologica di intercettare il flusso dei dati come se fosse una banale conversazione telefonica. Ad avvalorare questa tesi ci sarebbe anche un particolare importante: nella frode messa a punto in Spagna i ladri sono riusciti a utilizzare anche bancomat che funzionano con il pin, cioè con un codice di solito segreto, così segreto da essere sconosciuto persino alle stesse banche.

18 novembre 2009

Banche. Bloccate per frode 100mila carte credito tedesche

Una frode su larga scala in Spagna ha spinto numerose banche tedesche a bloccare migliaia di carte di credito dei propri clienti in Germania: secondo quanto scrive oggi il Financial Times Deutschland (Ftd), finora sono state ritirate - come misura preventiva, oltre 100mila carte.

I soli istituti Volksbank e Raiffeisenbank, scrive l'Ftd, hanno bloccato oltre 60mila carte di credito Visa e Mastercard, mentre il mese scorso la banca KarstadtQuelle - della catena di grandi magazzini Karstadt - aveva fatto lo stesso con oltre 15mila carte.

Anche la filiale tedesca della Barclays ha bloccato migliaia di carte e, per precauzione, la Commerzbank e la Deutsche Bank ne hanno congelate centinaia.

Circa 4 settimane fa, la Visa e la Mastercard avevano avvisato le banche di aver notato transazioni anomale, spiegando che i sospetti si concentravano su una società spagnola specializzata nella gestione dei pagamenti, che avrebbe subito un furto di dati personali.

Questa settimana, una portavoce della Lufthansa ha confermato che anche la compagnia aerea ha bloccato migliaia di carte fedeltà Miles & More - che sono anche carte di credito - per evitare possibili casi di frode. Sempre il Financial Times Deutschland, infatti, aveva riportato che alcune delle carte erano state usate in modo improprio in Spagna.

L'occidentale

CARTE CREDITO: RITIRATE 100. 000 IN GERMANIA, E'PANICO DA TRUFFA

Sono 100mila le carte di credito tedesche gia' ritirate dalla circolazione e che presto verranno distrutte.

"L'azione riguarda in egual misura tutte le banche della Germania", spiega una nota dell'Associazione centrale degli istituti di credito dove si chiarisce che si tratta di una misura preventiva.

Alla base dell'insolita decisione vi sarebbe il furto di alcuni data base avvenuto in Spagna e la paura di una forte manipolazione dei dati. Visa e MasterCard i principali istituti vittime dalla truffa.

I tabulati riguardavano turisti soprattutto tedeschi in ferie nel paese iberico. Secondo il Finacial Times in pericolo pero' non sarebbero solo le carte utilizzate in Spagna.

La dimensione dell'inganno ha spinto l'esperto finanziario Frank-Christian Pauli a parlare di "forti lacune nel sistema di protezione" i cui costi ora se li dovranno accollare i clienti".

Un "evento intollerabile" ha sottolineato l'analista dell'associazione dei consumatori.
Al contrario le banche cercano di calmare le acque.Le nuove carte avranno un "sistema di sicurezza rafforzato" spiega il rappresentante dell'associazione delle banche popolari tedesche e della Raiffeisenbank .

Visa e MasterCard hanno promesso di accelerare al massimo le procedure di emissione delle nuove carte, ma si teme che ben presto la stessa misura colpira' i consumatori svizzeri.

Agi news

11 ottobre 2009

Niente concorsi ma solo tagli, ecco spiegato il caos

Intervista a Tullio De Mauro. Il linguista ex ministro dell’Istruzione: da 20 anni non si fanno selezioni pubbliche, così il precariato si accumula e si sfrutta nel modo più bieco

Il Tar ha sancito il commissariamento del ministro Gelmini, se entro trenta giorni non ristabilirà l’ordine delle graduatorie per chi ha fatto ricorso. Come può essere accaduto?

«Da più di vent’anni non sono stati fatti concorsi pubblici regolari per le assunzioni dei docenti nelle scuole, l’ultimo si è tenuto durante il ministero Berlinguer. Così la mancanza di concorsi ha accumulato precariato. Da anni e anni è stato sfruttato nel modo più bieco l’uso dei lavoratori temporanei».

Un accumulo negli ultimi vent’ anni?

«Sì, è diventata una pandemia. D’altra parte la scuola si è retta proprio su questo. Erano state delineate delle vie d’uscita, discusse con i precari stessi e i sindacati,ma sono state abbandonate ».

Come giudica le politiche del ministro Gelmini?

«È stata scelta la linea della riduzione di spesa persino sulle necessità, fino alla carta igienica, e questo ha portato a tagliare con un tratto di penna gli insegnanti precari. Il Tar avrà le sue buone ragioni di natura amministrativa, ma si arriva all’assunzione a scatola chiusa di migliaia di lavoratori temporanei».

Si rischiano ricorsi di altri in graduatoria. Un pasticcio ministeriale?

Certo se si sconvolge l’assetto che ministero e provveditorati avevano posto nelle scuole e nelle graduatorie è il caos. È l’effetto della cattiva amministrazione».

La Cgil Lazio suggerisce di lasciare le graduatorie come sono. È d’accordo?

«Per forza si rischia di aprire un contenzioso senza fine. La sentenza del Tar interviene sulle condizioni drammatiche di chi viene licenziato, ma non può riguardare l’intero apparato della scuola, che dovrebbe essere affidato al ministero, che non è adeguato».

Era mai accaduto un commissariamento del ministro dell’Istruzione?

«Non mi pare. Evidentemente il Tar non si fida, teme che, senza un vincolo il ministero non intervenga»

Tutto questo crea un danno alla scuola, ai lavoratori e ai cittadini.

«La politica dei tagli è dettata dal ministro dell’Economia per ridurre al massimo le spese. Ma questa è solo la tessera di un mosaico che vede la riduzione degli investimenti anche nell'università e nella ricerca, di cui nessuno parla».

Vuol dire che c’è più attenzione sulla scuola e meno sulla ricerca?

«Sullo stato di atrofia della ricerca in Italia c’è una sordità ministeriale, ma anche una generale incomprensione. Questo è un paese che non sa di avere un istituto di alta ricerca, non ci si preoccupa che non venga finanziato o abbia continui tagli».

Un programma preciso dal governo?

«Si segue un senso unico: il programma di riduzione dello spazio dedicato alla scuola e, ripeto, all’università, alla ricerca e agli istituti di cultura. È un disegno complessivo. È logico che ci sia chi paga le conseguenze di ogni atto sul piano personale, ma c’è un attacco generale al mondo culturale».

Ci sono state proteste e manifestazioni, ma non trova che, da parte degli intellettuali, ci sia un po’ di afonia, oltre che di sordità?

«Il mondo della ricerca tecnologica e chi lavora nelle università, hanno alzato la voce, ma sono rimasti inascoltati. Aggiungerei al titolo del libro di Asor Rosa “Il grande silenzio” sul silenzio intellettuale, un altro: “La grande sordità”.

Al di là delle proteste leghiste, non è triste che un tribunale amministrativo debba intervenire sul funzionamento della scuola?

«È triste sì». E come se ne esce? «Con il sussulto di tutti contro questo scempio, la devastazione culturale in atto. Certo se il sussulto non c’è, allora dobbiamo sperare nei Tar. Ma voglio dirla tutta...».

Prego

«Mi piacerebbe, anche sui precari, vedere delineata una linea alternativa dalle forze d’opposizione. Mi sarò distratto, però vedo solo tante mozioni e non vedo proposte.. Se il programma è l’atrofizzazione culturale, si apre uno dei problemi di fondo della società italiana».

L'Unità 11 10 2009

15 giugno 2009

Il fascista di Arcore

La parola è difficile: schismogenesi. La coniò negli anni Trenta l'antropologo Gregory Bateson per descrivere certi rituali dei cannibali della Nuova Guinea.

Nel 2002 è stata introdotta nel linguaggio politico per definire una delle principali tecniche di comunicazione di Silvio Berlusconi. Una tecnica antichissima.

Ecco come la sintetizza lo psicologo Alessandro Amadori: «Si lancia, possibilmentein modo informale, una strategia di attacco, si ottiene in questo modo una controreazione spropositata, si nega di aver voluto attaccare».

Il controllo dell'informazione è di grandeaiuto alla schismogenesi: consente, a posteriori,di edulcorare l'attacco e di enfatizzare la reazione presentandola sempre come «spropositata».
E, in più, intimidisce l'avversario che magari tace nel timore di esserebollato come «antiberlusconiano».

Di certo gli fa perdere tempo. Se qui da noi non ci fosse questo dominio della schismogenesi, non avremmo dovuto fare una premessatanto lunga per dire che Silvio Berlusconi è un fascista. Più precisamente: se è vero che «ogni tempo ha il suo fascismo» (Primo Levi) Berlusconi è, nel nostro tempo e nel nostro paese, la personalità che più di ogni altra assume comportamenti che richiamano gli stilemi del fascismo.

A partire dal disprezzo per la libertà di stampa. Ogni tempo ha il suo fascismo anche perché, tra un fascismo e l'altro, gli uominiliberi tentano di darsi delle leggi che ne ostacolino il ritorno. E perché, tra un fascismo e l'altro, si consolidano dei valori universali.

Oggi solo un pazzo potrebbe proporre il ripristino della censura in Italia, non solo perché la Costituzione la vieta, ma soprattutto perché sarebbe inaccettabile per l'intero mondo civile. È però possibile, quando si controlla l'informazione e si è a capo di un governo, agire per togliere ai giornali ancora liberi l'ossigeno per vivere. Per esempio la pubblicità che, come il nostro premier sa alla perfezione, in Italia ha già una distribuzione totalmente sbilanciata a favore delsistema televisivo e, cioè, delle sue tasche.

È esattamente quanto ieri (poche ore dopo le parole del presidente Napolitano sulla libertà di stampa come «fondamento della democrazia»)ha fatto Silvio Berlusconi parlando ai giovani industriali. Dopo aver descritto come una specie di golpe la collezione di scheletri che conserva nel suo armadio, ha detto (Ansa, ore 14,22): «Bisognerebbe non avere una sinistra e dei media che cantano ogni giorno la canzone del pessimismo.Anche voi dovreste fare di più: non dovreste dare pubblicità a chi si comporta così».

Qualcuno deve avergli fatto notare che l'aveva sparata troppo grossa, ed ecco(Ansa, ora 15,01) la precisazione: «Mi riferivo non alla stampa, ma al leader dell'opposizione». La pezza non solo è quasi peggiore del buco, ma non lo chiude. Il premier ha lanciato un messaggio chiarissimo: le imprese che daranno pubblicità ai giornali che non gli piacciono, non saranno apprezzate dal governo. In una fase di crisi, l'argomento è efficace.

E modernamente fascista.

Quanto alla schismogenesi, suggeriamo ai lettori di seguire i telegiornali di oggi.

GIOVANNI MARIA BELLU
L'unità 14 giugno 2009

La storia si ripete

La destra xenofoba ha ottenuto consensi allarmanti. La Storia ci ha insegnato che alcuni fenomeni iniziano inosservati o sembrano umoristici. Ma poi persone di cui si rideva hanno creato situazioni in cui non si poteva mai più ridere. Jan Fischer, presidente Ue, 14 giugno

05 giugno 2009

Ispettorato per l' Immigrazione

"Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.

Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.

Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro.

Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perchè poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.

I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali."

"Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano pur che le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.

Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal sud dell'Italia. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione".

(Dalla relazione dell'Ispettorato per l'Immigrazione del Congresso americanosugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912)

04 maggio 2009

«L'Italia a rischio Turkmenistan, il premier ha un solo scopo, prendersi tutto»

(04 maggio 2009) - fonte: Corriere della Sera - Aldo Cazzullo - da OpenPolis.it

«Vorrei fare una domanda alla borghesia produttiva, agli imprenditori, agli intellettuali, ai moderati, anche a una parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane: possibile che non vediate dove ci sta conducendo Berlusconi? Possibile che non vediate che ormai si considera al di sopra della legge e di ogni morale, che pensa di avere così tanto potere da permettersi tutto? Vorrei suonare un campanello d`allarme: siamo ben oltre il conflitto di interessi e il controllo delle tv; siamo all`intreccio di ogni potere, economico, bancario, finanziario. Sulla spinta della crisi, intrecciando la sua forza di imprenditore con il controllo dello Stato, Berlusconi sta allungando le mani su tutto, sta riducendo ogni potere autonomo. La Sardegna è stata la prova generale. Vuole stravincere se l`8 giugno, dopo le Europee e le Amministrative, l`Italia si risveglierà con un netto disequilibrio tra maggioranza e opposizione, vale a dire tra Pdl e Pd, sarà un`altra Italia. Berlusconi cercherà di prendersi tutto: non solo la Rai, non solo le modifiche costituzionali; diventeremo un Paese profondamente diverso da quello di oggi. Altro che Peron: il modello di Berlusconi sono alcune delle repubbliche ex sovietiche dell`Asia centrale, dal Turkmenistan all`Uzbekistan. Paesi in cui il potere personale del capo è intrecciato con il potere dello Stato e i poteri economici».

Dario Franceschini, non le pare di esagerare?

«Questa sua domanda mi conferma che lo spirito diffuso è ormai di assuefazione. L`Italia si sta assuefacendo a cose che in qualsiasi Paese occidentale provocherebbero una rivolta morale, a cominciare dalla stampa. Invece arriva la notizia della classifica di Freedom House, che colloca l`Italia al 730 posto, tra i Paesi "parzialmente liberi", e sui giornali vedo al più un titoletto. Intendo rivolgermi non tanto al mio campo, quanto agli ambienti che negli altri Paesi tendono a stare dall`altra parte, sul fronte conservatore: non vedete che Berlusconi non c`entra nulla con le destre europee? Che non ha niente in comune con la Merkel, con Sarkozy, con Aznar, con Cameron? Non parlate perché non avete capito i rischi per il vostro Paese? 0 perché avete paura?».

Franceschini, lei farebbe bene a rivolgersi anche al campo che in teoria è suo. I giornali riferiscono anche un sondaggio Ipsos, secondo cui la maggioranza degli operai vota per Berlusconi, non per il Pd.

«È un problema serio. Ma non è un alibi ricordare che, dal `94 a oggi, ogni partita elettorale è truccata, perché si svolge in condizioni totalmente anomale.Se McCain avesse affrontato Obama avendo il controllo delle tv e di una parte crescente dell`apparato finanziario e produttivo o cento volte in più di fondi perle campagne elettorali, avrebbe forse perso? Il problema non è solo la tv. In Italia si stanno assuefacendo anche i mondi che contano. Noi siamo ancora qui a contare i secondi che ci dedicano i vari tg, peraltro con un disequilibrio vergognoso, ma intanto la tv in questi vent`anni ha costruito un modello sociale: non ha solo informato, ha formato gli italiani a gerarchie di valore e di comportamento. Eppure a Berlusconi non basta: attacca Sky, blocca la concorrenza. Il degrado populistico si intreccia con il degrado morale, e comporta un forte rischio neoautoritario».

Diranno che lei è dilaniato dall`odio.

«Ma quale odio? Anzi, quando lo ascolto mi mette di buon umore. Ma questo non mi impedisce di vedere che Italia ha in mente. Ho sperato che la nascita del Pdl consentisse di superare il rapporto proprietario di Berlusconi con Forza Italia, che introducesse un elemento di controllo. Ma non è così».

Come no? E Fini?

«Il fatto stesso che dire qualcosa di buon senso trasformi chi lo fa in una sorta di "eroe civile", è un altro segno di dove siamo arrivati».

Che effetto le fa Veronica Berlusconi che chiede il divorzio?

«Ripeto: tra moglie e marito non mettere il dito. La saggezza popolare torna sempre utile. E poi ogni italiano si sarà già fatto un`opinione senza bisogno di commenti politici».

La Chiesa secondo lei si è ormai schierata con il governo?

«No. Questa è una semplificazione tutta italiana. Né io ho titoli per dare consigli. Ma un`attenzione rigorosa alla coerenza tra valori proclamati in pubblico e comportamenti personali di chi ha responsabilità politiche, me la aspetterei».

Una mano a Berlusconi gliela date anche voi. Il Pdl candida il leader e i ministri, voi rispondete con Cofferati e Berlinguer: non proprio un segno di rinnovamento.

«Le nostre candidature sono tutte indicate dai partiti regionali e radicate nel territorio. Tranne i cinque capilista, scelti con il criterio dell`autorevolezza e della competenza: l`età non è un ostacolo, semmai una garanzia. E poi non sono liste bloccate: saranno gli italiani a scegliere chi eleggere con le preferenze, non i politologi o i blog».

Ma perché lei non è sceso in campo di persona a fronteggiare Berlusconi?

«Finché rivesto questo ruolo, sono pronto a condividere i risultati positivi con tutto il partito, e ad assumermi da solo la responsabilità di quelli negativi. Ma non arretro di un centimetro su un`esigenza: la serietà. In nessuno dei ventisei Paesi d`Europa si candidano il capo del governo e il capo dell`opposizione. Ho posto la domanda a Parigi, a Madrid, a Berlino: non capivano, se la facevano ripetere. Sarkozy, Zapatero, la Merkel governano e affrontano la crisi, non puntano a un plebiscito permanente».

D`Alema le chiede di rompere l`alleanza con Di Pietro.

«Le alleanze si fanno per governare. Noi siamo all`opposizione, con Di Pietro, Casini e la sinistra radicale. Sarebbe bene che l`opposizione fosse il più possibile unita: le liti interne sono a somma zero. Purtroppo, Di Pietro e Casini attaccano ogni giorno me e il Pd molto più di quanto non contrastino Berlusconi. Ma io non risponderò».

Una parte consistente dei suo partito, a cominciare da Enrico Letta, preme per l`alleanza proprio con Casini.

«Fare bene l`opposizione insieme è il modo migliore per preparare un`alleanza. Ma dobbiamo sapere che tenersi le mani libere è la ragione sociale dell`Udc: le alleanze alle prossime Politiche non le deciderà prima del 2012. Può farci piacere o dispiacere, ma è così».

Sempre dall`interno del Pd, in particolare dagli ambienti vicini a Rutelli, viene la richiesta di cambiare linea sul referendum elettorale: il sì rafforzerebbe Berlusconi.

«Anche qui: serietà. Il referendum ci chiede se abolire o no la legge che il suostesso autore ha definito "una porcata". La risposta di chi ha contrastato questa legge non può che essere sì. La direzione del Pd ha approvato questa linea con oltre cento voti contro cinque. Tornare indietro per una battuta detta da Berlusconi camminando nelle vie di Varsavia significherebbe non essere un partito, ma solo un gruppo di persone impaurite».

Il Pdl avverte che, se vince il sì, non si farà una nuova legge elettorale.

«Dimentica di avere 271 deputati su 630. Gli altri potrebbero decidere di farla».

Resta il fatto che Berlusconi è così forte perché il Pd appare inconsistente.

«Il problema non è solo il Pd. Io non chiedo agli elettori di farsi carico dell`opposizione, ma del Paese in cui vivranno i loro figli. È evidente che, se il Pd terrà, il progetto ne uscirà rafforzato. Ma è il futuro dell`Italia la vera posta in gioco. Se il giorno dopo le elezioni il disequilibrio sarà troppo netto, troppo lontano dalla differenza tra il 37,4 del Pdl e il 33,2 del Pd delle Politiche, se Berlusconi sarà messo in condizioni di portare all`estremo la sua volontà di conquista del Paese, allora rischieremmo di risvegliarci davvero in una repubblica ex sovietica dell`Asia centrale. E se succedesse gran parte della colpa sarà di chi, da qui ad allora, sarà rimasto inerte o zitto. Per scelta o per paura».

21 aprile 2009

ALTRA GAFFE PER BERLUSCONI

G20: ALTRA GAFFE PER BERLUSCONI, MENTRE LAVORAVAMO I MINISTRI STAVANO AL BAGNO

Nuova gaffe per il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Mentre il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti stava spiegando che al vertice di Londra, insolitamente, la maggior parte del lavoro era stata svolta dai capi di governo. "Mentre noi lavoravamo", ha aggiunto il premier, "i ministri stavano al cesso". Visto che in sala stampa era calato il gelo, il Premier ha apostrofato una giornalista Rai: "Cosa scrivi? Guarda che le riunioni per viale Mazzini le facciamo a casa mia".

Vedi il video

11 marzo 2009

Mangano e manganello

Nell’ultimo anno il cavalier Benito Berlusconi ha comunicato che:
  • 1) la sua Augusta Persona non può più essere sottoposta a processo penale, qualunque reato commetta;
  • 2) se una sentenza della Cassazione non gli garba, lui la cambia per decreto;
  • 3) se il capo dello Stato non firma il decreto, è un ostacolo alla governabilità;
  • 4)se la Costituzione gli impedisce di decretare su quel che gli pare, bisogna cambiarla anche a colpi di maggioranza, anche sciogliendo le Camere e «tornando al popolo».

Ora ribadisce che

  • 5) il Parlamento gli fa perder tempo,con tutti quei deputati e senatori (peraltro in gran maggioranza nominati da lui con finte elezioni) che non si sa mai come voteranno e propone
  • 6) di far votare solo i capigruppo per evitare «sorprese». Ci sarebbe pure la Costituzione, che prevede il voto del singolo parlamentare «senza vincolo di mandato», ma che sarà mai. Intanto
  • 7) i giudici che indagano o arrestano o scarcerano chi non vuole il governo vengono immantinente visitati dagli ispettori di Al Fano. E
  • 8) le strade sono pattugliate da militari e ronde di partito, embrione della nuova Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
  • E 9) le banche finiscono sotto controllo dei prefetti, cioè del Ministero dell’Interno. E, per chi protesta, è alle viste
  • 10) una forte riduzione del diritto di sciopero.
  • E 11) il governo prepara norme-bavaglio per la stampa e per i blog. E
  • 12) pretende di scegliersi anche il presidente della Rai, che spetta all’opposizione.

Domanda ai fini dicitori che invitano sempre a non demonizzare: ci dite, gentilmente,come si chiama questa roba qua?


Marco Travaglio L'Unità 11 marzo 2009

02 febbraio 2009

Il trend della volgarità

......Martedì pomeriggio, Rai Radio Uno, in una trasmissione d’intrattenimento dal nome simbolico di Trend, Ernesto Bassignano ha detto che qualcuno pensa di gettare benzina sui campi Rom, Ezio Luzzi ha risposto che sarebbe un buon modo di far stare al caldo dei ladroni, sei peggio di Hitller ha scherzato Bassignano, il tuo per me è un complimento ha concluso Luzzi. E’ in un contesto di questo livello, mi pare, che diventa comprensibile la tolleranza (o l’ammirazione sottile) così diffusa oggi di fronte alle battute infelici o alle volgarità (intollerabili solo per una minoranza degli italiani) di tanti politici e giornali. Inseguono, da destra, l’umore profondo di molti (troppi) elettori. Eccitandoli all’odio nei confronti dello straniero e del diverso, ai disvalori del maschilismo più bieco e dell’egoismo più radicale. Il fuoco nei campi Rom su cui si scherzava alla Rai, del resto, c’è stato davvero e l’idea piacque aLibero come a Maroni che decise di schedare quelli che ci abitavano, non quelli che li volevano bruciare. Cinicamente sapendo che era una minoranza dei loro lettori ed elettori quella che avrebbe protestato.

Luigi Cancrini da l'Unità del 2 febbraio 2008 pag 18

27 gennaio 2009

Trattato Libia: quattro ragioni per dire no.

Gli accordi con Tripoli contengono aspetti oscuri e disumani. perchè il Pd, tranne pochi, ha votato con la destra ?


Devo rendere conto ai lettori di fatto nuovo e sorprendente avvenuto alla Camera dei Deputati nei gior­ni 20 e 21 gennaio. Per la prima vol­ta il Partito Democratico ha annun­ciato di votare insieme alla maggio­ranza di destra, e lo ha fatto. Per la prima volta - come ha scritto il 22 gennaio questo giornale - nelle file del Pd ci sono stati due voti contro (quello di Andrea Sarubbi e il mio) e ventiquattro astensioni, tra cui un ministro ombra (Lanzillotta).I'Uni­tà dice, in un altro punto dell'artico­lo, che "i radicali sono stati protago­nisti di una battaglia ostruzionisti­ca". È bene ricordare che i deputati radicali Mecacci, Bernardini, Zam­parutti, Farina-Coscioni, Turco, so­no stati eletti nelle liste del Pd, dun­que i loro voti “contro" sono i voti di una parte del Pd. A quell'ostruzioni­smo mi sono unito fin dall'inizio ag­giungendo la mia firma in calce ai seimila emendamenti, tutti sensati e tutti necessari, che hanno fatto lu­ce su un confronto che, altrimenti, sarebbe avvenuto alla cieca.

Nel silenzio un po' disorientante di quasi tutto il Pd (salvo pochi de­putati come Paolo Corsini, perples­so, Enzo Carra, entusiasta, Tempe­stini, per un elogio a Gheddafi, Ma­ran per una descrizione tecnica del trattato) insieme ai radicali ho par­lato su centinaia di emendamenti tentando, centinaia di volte, di spie­gare perché l'esortazione iniziale di Massimo D'Alema a votare «sÌ" (che molti hanno accettato come un ordi­ne) poneva problemi politici, pro­blemi giuridici e problemi morali che sarebbe stato impossibile igno­rare.

Ma ecco le ragioni del no, tutte gravi, tutte sollevate per tempo dai radicali e da alcuni di noi fin dal di­battito in commissione, e tutte la­sciate cadere nel silenzio dell'Aula per raggiungere un “si" congiunto con il Pdl e la Lega su un argomento che ha imbarazzato e indotto a dis­sociarsi molti deputati del centrode­stra, da Giorgio La Malfa all' ex mini­stro degli Esteri Antonio Martino. E ha motivato Italia dei Valori e Udc (oratore decisamente avverso e ap­passionato Rocco Buttiglione) a vo­tare contro, lasciando solo al Pd l'iniziativa del triste abbraccio con la destra e con Gheddafi.

1. Il trattato con la Libia non è un trattato di amicizia ma un trattato militare. Prevede azioni militari e manovre congiunte, scambi di infor­mazioni militari e della tecnologia più avanzata, l'impegno (non reci­proco) a non usare basi militari ita­liane o Nato contro la Libia, in nes­sun caso, qualunque sia l'evento. Stabilisce il pattugliamento con­giunto (soldati italiani con soldati libici) del confine Libia-Ciad, confi­ne immenso, incerto e disputato sia dal Ciad che dalla Francia.

2. Il trattato con la Libia non è un trattato di amicizia ma un trattato d'affari con aspetti oscuri. Stabili­sce che “società italiane" non me­glia identificate (aste? appalti? con­corsi? scelta arbitraria?) organizze­ranno il monitoraggio elettronico del confine Ciad-Libia, stipula un versamento di somme immense da parte italiana, nel peggior periodo dell'economia italiana e mondiale: 200 milioni di dollari dall'Italia alla Libia ogni anno per venti anni, sen­za alcuna possibilità dell'Italia di uscire dall'impegno, qualunque co­sa accada. Il trattato, infatti, non prevede alcuna clausola di preavvi­so o di scioglimento.

3. Il trattato con la Libia è iniquo e disumano, specialmente mentre il mondo entra nell' era di Obama, per­ché prescrive che la forza congiirnta degli apparati militari dei due paesi si abbatta non sui "mercanti di schiavi", che organizzano le tratte dei disperati e che certo non si fan­no trovare nel deserto, ma sugli schiavi che riescono a giungere vivi ai confini del Ciad oppure che rie­scono a mettersi in mare, e che po­tranno essere “fermati" (è un eufe­mismo) molto prima che si avvicini­no alle coste italiane.

4. Il trattato con la Libia è fuori dalla Costituzione italiana, fuori dalla Convenzione di Ginevra, fuori dalla Carta dei Diritti dell'uomo, fuori dalle prescrizioni delle Nazio­ni Unite sui diritti dei rifugiati. Per esempio questo trattato rende im­possibile ogni tentativo di rispetta­re il diritto di asilo dei profughi in­tercettati.

La storia finisce qui, con l'inspie­gabile offerta del Pd di votare insie­me al Pdl un trattato che - a parte la Lega - è stato giudicato inaccettabi­le da rilevanti figure del Centrode­stra.

Alla Camera dei Deputati chi vo­ta in dissenso ha soltanto un minu­to di tempo per esprimere, in con­clusione, quel dissenso. La vice-pre­sidente Bindi, che dirigeva i lavori d'Aula in quel momento, mi ha chiu­so il microfono esattamente alla fi­ne del minuto, prima che potessi fi­nire la frase. La frase completa sa­rebbe stata questa: "Sono io - e il deputato Sarubbi, e i radicali eletti nel Pd - in dissenso con questo parti­to, o è questo partito che è in dissen­so con se stesso e con i suoi eletto­ri?".

furiocolombo@unita.it

25 gennaio 2009

Il 2009: l’annus horribilis del Cavaliere?

Curzio Maltese il Venerdì di Repubblica 9 gennaio 2009

Dall'epoca delle signorie, in Italia chi esibisce potere trova consenso. È il pedaggio storico di un Paese che ospita la principale scuola di conformismo della storia, il papato.

Questa meccanica spiega molto della storia nazionale, anche recen­te. Il problema del Pd oggi non è la que­stione morale, ma l'impotenza politica. Veltroni incarna una leadership popolare, ma debole. Nella crisi, dovrebbe imporre una linea, dall'alto del plebiscito delle pri­marie, e invece si costringe a mediare con chiunque. Non riesce a ottenere le dimis­sioni di un Bassolino o di una Iervolino, l'allontanamento di un Latorre, la rimo­zione dell'abusivo Villari, deve trattare al­l'interno e all'esterno, con D'Alema e con Di Pietro, con Berlusconi e gli antiberlu­sconiani, con la Binetti e con i radicali. Uno strazio. Eppure, non esistono alternative credibili, a cominciare dall'unica seria.

D'Alema è percepito come uomo forte da chi non lo vota, l'elettorato della destra. Nella base del centrosinistra è considerato debole, e non a torto. Nel '95 aveva l'occasione di togliere all'avversario il suo principale strumento di potere, le te­levisioni. Qualsiasi professionista della politica non avrebbe esitato. L'avesse fat­to, oggi sarebbe al Quirinale. Invece s'è in­ventato la Bicamerale, ottenendo per sé un annetto di Palazzo Chigi e per gli italia­ni altri vent'anni di berlusconismo.

AI contrario, Berlusconi oggi irradia un immagine regale. Decide tutto, coman­da tutti. Vuole essere incoronato presiden­te dal popolo. Ha schiantato la magistratu­ra, che gli italiani sostenevano quando sembrava onnipotente e non per adesione alla questione morale. Il premier appare oggi invincibile. :Ma è solo un'immagine che serve a mascherare enormi debolezze.

Il suo governo è assai mediocre e i cittadi­ni iniziano a capirlo. La sua credibilità internazionale è zero. Finita l'era Bush, Ber­lusconi è considerato dai grandi leader mondiali una specie di informatore di Pu­tin, un interiocutore fastidioso e imbaraz­zante. «Un sinistro pagliaccio» nella sinte­si del Financial Times.

Se l'opposizione ve­ra è allo sbando, quella interna alla destra cresce, Fini si smarca, Bossi impone veti. È l'ultimo l'elemento più pericoloso. Se do­mani Berlusconi sparisse, la Lega raddop­pierebbe i voti. Il Cavaliere sarebbe anco­ra in grado di superare tutte queste diffi­coltà, se non si trovasse a gestire una crisi economica epocale, per cui non trova ri­medi e neppure parole. Mi sbaglierò, ma per lui il 2009 sarà un anno orribile.

L’equivoco del PD sul significato del riformismo

Venerdì di Repubblica 27 12 2008 di Curzio Maltese

L'imminente collasso del Pd è inevi­tabile? Forse no, ma quasi di sicu­ro nessuno si muoverà per evitarlo. Il fa­talismo sembra l'ultimo «ismo» rimasto alla sinistra. La situazione è chiara da tempo. Con questo gruppo dirigente, co­me diceva anni Moretti, non si vincerà mai più. Questa almeno è la convinzione di milioni di elettori del centrosinistra, che non andranno più a votare finché non vedranno all'opera un partito nuovo nei fatti e non a parole.

La profezia di Moretti nel 2002 fu rove­sciata dal risultato elettorale del 2006, ma solo in parte. In realtà per la seconda volta un centrosinistra votato alla scon­fitta s'imbattè in quel singolare outsider vincente ch'era Romano Prodi. E per la seconda volta lo fece fuori in breve tem­po. Lasciata sola a se stessa, la nomenclatura ereditata da Pci e Dc ha finito per ri­proporre un vuoto d'idee nel quale avan­zano carrierismi spregiudicati.

L'identità riformista del Pd è rimasta sulla carta. Gli ex pci e dc ne hanno sempre avuta un'idea vaga. Per loro il riformismo non significa progettare riforme, impresa titanica in Italia, ma assumere un atteggia­mento moderato, non entrare in polemica con l'avversario, con la Chiesa e con i pote­ri forti, irridere alla questione morale e di­sprezzare ogni forma di radicalismo. È una visione un tantino macchiettistica Un po' come quando gli attori italiani, per recitare i testi anglosassoni, indossano il foulard, si yersano un whisky ed e esclamano «caspi­ta!». Oppure come quando Bertinotti e Sansonetti interpretano l'antagonismo so­ciale nei salotti televisivi, con i noti esiti.

Il calcolo della nomenclatura di centro sinistra era di trattare con Berlusconi co­me con la Dc di una volta. Con la differen­za che il berlusconismo non è la Dc, è ever­sivo e ora apertamente anticostituzionale. Senza contare che nell'ultimo mezzo se­colo il mondo è un po' cambiato.

D'altra parte non si può pretendere che i vecchi funzionari di partito, dopo aver cambiato cento sigle, mutino davve­ro il proprio codice genetico. L'unica pos­sibilità è mandarli a casa è costruire un partito nuovo. Era il progetto originario del Pd, ma ha resistito pochi mesi. Come si può convincere gli elettori d'esser ca­paci di riformare la società quando non si è in grado di riformare se stessi?

Oggi il Pd può scegliere se scaricare gli oligarchi locali da solo e da subito, o aspet­tare che lo facciano gli elettori. Si potreb­be, una volta, fare una cosa di sinistra?

Il sogno (impossibile?) di un Obama italiano

di Curzio Maltese da Venerdì di Repubblica

Potrà esserci un giorno un Obama ita­liano? Chiedono i lettori. In questi casi, la domanda vale più della risposta, ovvia: no. Sarebbe già un miracolo dare i diritti di cittadinanza ai figli di immigrati nati e cresciuti qui. Quindi aspettare con fiducia una ventina d'anni. La selezione del ceto politico italiano segue regole chiuse e difficili da scardinare.

Fin da bambino ascolto la lagna generale sul fatto che «si vedono sempre le stesse facce in Parlamento». In concreto, gli italiani si sono liberati della Prima repubb­lica soltanto per gli scandali di Tan­gentopoli. La circostanza che Andreotti, Craxi e Forlani avessero moltiplicato per otto il debito pubblico in quindici anni, catastrofe che pagheremo per tutta la viat noi e i nostri figli, non costituiva evidemente un motivo sufficiente per mandarli a casa con il voto.

Dopo è comin­ciata la stagione di Berlusconi, creatura prediletta della Prima repubblica, e non se ne vede la fine. A sinistra è successo che personaggi di seconda e terza fila ab­biano preso il posto cui erano destinati fm dalla scuola materna. Ora a destra la for­mazione della nuova classe dirigente av­viene per scelta diretta del capo, con i no­ti criteri personalissimi che hanno porta­to alle nomine dei vari Bondi e Gelmini.

La vittoria di Obama, come quella di al­tri leader di questi anni, ma in maniera an­cora più clamorosa, non è tanto la vittoria di una politica quanto quella di una storia umana. La vita di Barack Obama è un rac­como formidabile. Ed è il racconto di una comunità fondata sulla speranza e sulle opportunità per tutti. La storia personale dei personaggi politici italiani è a1trettanto significativa della comunità cui apparteniamo. Una comunità dove la mobilità sociale è azzerata e la principale risorsa di un giovane rimane la famiglia o il clan d'appartenenza. Ma, diciamo la verità una storia un po' meno entusiasmante.

In giro per l'Italia s'incontrano storie personali meravigliose e giovani di grande talento, fra i quali potrebbe esserci un Obama italiano. Ma attrav so quali canali questi talenti potrebbero essere messi al servizio della collettività? È già un'impresa che trovino un lavoro o vincano un concorso truccato da qualche barone di provincia per infilare un parente.

Però la domanda di speranza rimane più importante della risposta realistica. Chissà che, cominciando a fare i conti con i veri problemi, all'improviso il vento non cambi.

Il paese che affonda mentre il premier fa cucù

d Curzio Maltese da venerdì di Repubblica

NeI bene o nel male, le grandi crisi co­me quella che viviamo hanno il para­dossale vantaggio di mobilitare le energie migliori delle società e delle classi diligen­ti. Il '29 tanto spesso evocato avviò anche cambiamenti positivi, fecondò creazioni grandiose come il Welfare.

L'America con l'elezione di Barack Obama ha dato ancora una volta il segna­le al resto del mondo, la speranza e la ne­cessità di un cambiamento radicale nel modo di far politica rispetto al comitato d'affalÌ imperiale dei Bush. Il passo pesan­te della storia si sente anche nei vertici eu­ropei, nella solennità dei discorsi e delle scelte di Merkel, Sarkozy, Zapatero, Brown. Il nostro premier è quello che fa cucù. È quello che consiglia di correre al più vicino supermercato e vuotare gli scaf­fali, non si sa con quali soldi, così la crisi passa subito. Ricorda un verso di una can­zone di Jannacci: Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro, oh yes.

L'Italia dovrebbe essere il Paese più pre­occupato e quindi impegnato sul fronte del cambiamento. In nessun altro Paese ricco è attesa una recessione tanto lunga e dura. I segni si avvertono girando per le città. Neppure negli anni di piombo o in quelli più bui delle ristrutturazioni industliali s'era vista tanta depressione a Torino, la città più manifatturiera d'Italia, da sempre convinta che ci sarebbe stato un «dopo» per tutto. Oggi questa fiducia nel dopo non esiste più, la Fiat manda in cassa integra­zione, ma anche lo stabilimento Motorola chiude i cancelli. Dove si troverà lavoro?

Si avverte la crisi nella serietà dell'On­da, il movimento studentesco meno ludi­co della storia dei movimenti giovanili. I sessantottini, gli indiani metropolitani del '77 tutto sommato si concedevano il lusso di una ribellione contro una società af­fluente. Questi lottano per la riconquista di una dignità del vivere quotidiano, nega­ta alle nuove generazioni.

Nella crisi soltanto i palazzi del potere restano immobili. Stesse facce, stessi di­scorsi, identiche pagliacciate. La Rai ri­schia di dover licenziare migliaia di perso­ne. Ma quelli tramano per mesi intorno a una singola poltrona e alla fine la spunta, almeno per un po', un tal Villali che sem­bra uscito dalla commedia all'italiana d'al­tri tempi. Bisogna ridere? Ridere anche delle improbabili trovate governative per risolvere con un colpo di bacchetta pro­blemi mondiali annunciate la sera stessa al talk show di turno? Una risata alla fine ci ( e non vi) seppellirà?

L’ossessione dei “rossi” dopo il crollo del Muro

L’ossessione dei “rossi” dopo il crollo del Muro

di Curzio Maltese da Venerdì di Repubblica

Non si riesce a leggere la millecinque­centesima tirata contro il comuni­smo di Ernesto Galli Della Loggia dalle colonne del Corriere senza trattenere un sorriso. Non di derisione, ci manchereb­be: di tenerezza. Con giovanile e dunque invidiabile impeto ideologico, il professo­re va a caccia di comunisti sopravvissuti e li trova nei più distanti angoli della socie­tà, fra gli studenti dell'Onda e ai cancelli delle fabbriche, fra i piloti AlitaJia e nelle scuole elementari, nel sindacato e ai ver­tici della finanza bancarottiera.

È la scena di un film, quando il vecchio John Wayne si volta verso il suo soldato: «Siamo circondati, rossi dappertutto!». Forse è un comunista anche mio figlio di sei anni, che ha partecipato a una fiacco­lata di protesta contro la Gelmini, con la mamma e le maestre (ancora due). Sarebbe divertente, se l'ossessione non fos­se diffusa fra milioni e milioni, probabil­mente la maggioranza, di italiani. In tan­ti anni di lavoro, fra le migliaia di lettere e messaggi ricevuti da lettori di destra, il numero di quelli che non si chiudevano con l'accusa definitiva di «comunista» si possono contare slùle dita di una mano. Continua a farmi effetto. Non tanto per­ché non sono mai stato comunista, a dif­ferenza di molti degli attuali servi del Ca­valiere e del suo idolo politico Putin, quanto perché non riesco a considerarlo un insulto. D'altra parte, la più bella poe­sia sul perché «qualcuno era comunista» l'ha scritta un libertario, Giorgio Gaber.

Oltre l'ossessione, c'è un problema gi­gantesco della società italiana. L'antico­munismo è stato per novant'anni l'unico vero collante della borghesia italiana, il suo alibi universale. Vent'anni fa il comunismo è morto, ma l'anticomunismo ha continua­to a vivere in un Paese solo, l'Italia, grazie a Silvio Berlusconi e perché non s'è trova­ta un'alternativa, un altro valore condiviso.

Un giorno finirà anche Berlusconi e il giorno successivo forse finirà anche il dominio degli ex comunisti sul centrosi­nistra. A quel punto che cosa può suc­cedere? Una crisi d'identità mostruosa, con due possibili sbocchi. Un nuovo pat­to civile e democratico condiviso, oppu­re l'esplosione di un conflitto anarchico fra le mille componenti dei ceti medi, un caos di difficile soluzione. «Attenti a fe­steggiare» disse il vecchio Giulio An­dreotti quando crollò il Muro di Berlino, «vi eravamo aggrappati tutti». Il pro­blema è che vi siamo aggrappati ancora oggi. A un Muro che non esiste più.

24 gennaio 2009

Fred Vargas: «Difendo Cesare Battisti, è stato lasciato solo»

di Beppe Sebaste
l'Unità 16 gennaio 2009

Quando in Francia si accorse di essere stato condannato al carcere a vita, e che tutte le colpe e gli omicidi dei Pac (Proletari armati per il comunismo) gli erano stati buttati addosso, Cesare Battisti era incredulo. Non è vero che era scappato per non essere giudicato, fu giudicato (e condannato a 12 anni di carcere per banda armata) nel 1981, e trasferito nel carcere di Frosinone, non a caso destinato a chi non fosse colpevole di crimini che avessero comportato la morte di persone. Evase dalla pena, non dal giudizio. Il processo successivo si svolse in contumacia. Battisti passò da un incubo all’altro, in una trappola senza uscita, da quella dei Pac e della lotta armata - da cui uscì e si dissociò già nel 1978 – a quella di un processo kafkiano che lo condannò all’ergastolo sulla base di testimonianze di pentiti – i capi dei Pac Pietro Mutti e Arrigo Cavallina – che addossarono a lui assente ogni colpa ed ebbero una condanna di 15 anni. Messi insieme, tutti gli elementi di dubbio fanno una montagna. E pochi ricordano che Battisti si è sempre detto innocente dei delitti di cui è stato condannato».A parlare così – accettando di camminare su un campo minato oggi in Italia - è la scrittrice Fred Vargas, i cui romanzi polizieschi, brillanti e innovativi, sono molto noti e apprezzati anche in Italia. Ma Fred Vargas è anche una ricercatrice e studiosa di archeologia e paleontologia (precisamente è archeozoologa), abituata a cercare con ostinazione verità storiche con un paziente lavoro di scavo, reperimento, concatenazione di frammenti, infine ricomposizione di un senso come un puzzle. Con questo spirito si è dedicata da anni alla ricostruzione di un’altra verità storico-giuridica su Cesare Battisti, dedicando un libro alle sue vicende processuali. A Parigi Battisti si era rifatto una vita (ha due figlie, una di tredici, l’altra di ventitrè anni) indossando il fragile abito di rifugiato politico (oggi in via di estinzione oltralpe), e diventando a sua volta autore di romanzi. Fred Vargas si è prodigata affinché, in nome della legislazione francese, fosse negata la sua estradizione in Italia. Mentre la Francia ne decideva l’estradizione, Battisti scappò in Brasile. Successivamente arrestato, il ministro della Giustizia di quel Paese, in nome dell’articolo 5 della Costituzione brasiliana, gli ha ora accordato l’asilo politico. Di fronte al coro unanime e compatto di condanna per questa decisione, la posizione garantista di Fred Vargas è assai isolata.Quali sono le sue contro-verità?«Innanzitutto confesso che mi è molto difficile parlare senza la paura di offendere la sensibilità degli Italiani. Non sono in nessun modo contro l’Italia, Paese che amo molto, e piango ogni vittima della violenza politica. Odio ogni violenza e non sono una paladina della sinistra estrema. Credo però che la decisione del ministro della Giustizia del Brasile sia onesta, giusta, coraggiosa e umana. Tiene conto dei diritti giuridici, ma anche dello stato di malattia di Battisti, attualmente distrutto. Per quanto riguarda i diritti, anzi il Diritto, molti insigni giuristi brasiliani – posso citare Dalmo Dallari e Milo Batista, oltre al senatore Edoardo Suplici – hanno sollevato, convincendosi della sua innocenza. Così come il ministro dei Diritti umani del Brasile, Paolo Vanucci. La condanna inflitta a Cesare Battisti non solo fu senza prove effettive e sulla base di testimonianze contraddittorie, oltre all’eccessivo peso dato ai pentiti; ma si svolse in contumacia, in assenza dell’imputato, che non ha quindi potuto difendersi».Come sarebbe potuto accadere?«Per renderlo regolare furono prodotti tre mandati, cioè tre lettere di incarico agli avvocati per rappresentarlo, a firma di Cesare Battisti: due con data 1982, una 1990. Qui interviene il mio mestiere di storica e di ricercatrice. Ho potuto dimostrare che si tratta di falsi, contraffazioni anche goffe della sua scrittura e della sua firma ottenute tramite il calco per trasparenza di una lettera precedente dal Messico. Si riconosce in tutte l’identico modello, e che le firme sono state eseguite nello stesso breve lasso di tempo. Risparmio i dettagli tecnici. Il fatto è che senza quelle lettere il processo non si sarebbe potuto svolgere. Di questo e di altri aspetti della vicenda processuale di Battisti ho parlato col Segretario Nazionale della Giustizia del Brasile, e anche con l’ambasciatore italiano, persona squisita. Quest’ultimo mi ha detto di essere stato turbato, come uomo, dalla mia ricostituzione dei fatti, ma che come ambasciatore non poteva che richiedere l’estradizione di Battisti. Il mio mestiere è la verità, non mi interessa difendere un’ideologia, né la sinistra estrema. Scavo la terra, dai frammenti restituisco la verità storica. Ho studiato per oltre dieci anni la propagazione della peste nel Medio Evo, un lavoro in cui non ci si può sbagliare nemmeno di un bacillo, dove occorre analizzare l’interno di una pulce. Il mio mestiere non è credere a qualcosa, ma cercare e trovare la verità. E’ quello che ho fatto anche con i pezzi di carta della vicenda Battisti».Ma lo status di rifugiato accordato a Battisti ha una motivazione soprattutto politica...«C’è indubbiamente un risvolto politico, e non perché qualcuno simpatizzi con le motivazioni politiche dei crimini che gli sono stati imputati. Cesare Battisti non fuggì la giustizia, nel 1981 fu giudicato e condannato. Ma i successivo processo rimanda alle leggi d’emergenza (o d’eccezione) che caratterizzarono quegli anni in Italia, e la memoria di quegli anni non viene affrontata in Italia col giusto sguardo (mentre il Brasile è molto sensibile al tema dell’amnistia). Rivedere, rimettere in discussione le modalità di quel processo significherebbe rimettere in discussione molti degli eventi giuridico-politici degli anni ’70 in Italia. Questo è il senso politico, o l’altro dubbio, se vogliamo, che ha caratterizzato credo la scelta del Brasile della presunzione di innocenza di Battisti».

08 gennaio 2009

La Tv e lamanipolazione del consenso

Domanda

L’uomo comunissimo, quello che guarda certi programmi in televisione,
quello del bar sotto casa che, dopo un goccio, se la prende con tutti:
prostitute, gay, stranieri, perché così dimentica la propria miseria e la
propria nullità, sarà contento se ogni tanto si partorisce qualche leggina
razzista.


Risposta

Quella che lei propone inmodo così efficace, cara Teresa,
è la questione cruciale della politica da quando è stato introdotto il
suffragio universale. Se tutti possono votare e se i governi vengono eletti
da una maggioranza di quelli che votano, il rischio è continuamente
quello di una rivoluzione perché quelli che hanno di meno sono sempre
più numerosi di quelli che hanno di più. Indispensabile per i ceti dominanti
è, in queste condizioni, una propaganda capace di imbrogliare le
carte. Mantenendo al livello più basso possibile la consapevolezza dei
cittadini e/o promettendo il Paradiso di uno Stato che provvede a tutto
senza esigere tasse) ma soprattutto suscitando odio (razzista) contro
dei nemici direttamente collegati al Male del mondo (i Komunisti, gli
ebrei, l’Islam o gli emigrati). Sta nella capacità di usare in questo modo
tutta la potenza della televisione la genialità vera di Berlusconi che è, da
questo punto di vista un potente e pericolosissimo uomo di Stato. Sta
nell’incapacità di rispondergli sul suo terreno la difficoltà vera, al momento
difficilmente superabile, della sinistra italiana.


Luigi Cancrini
L'Unità mercoledì 7 gennaio 2009