In Italia non siamo
all’emergenza analfabetismo, ma è un dato di fatto che due persone su tre non
sono ancora in grado di comprendere con pienezza il significato di un testo di
media difficoltà. A ricordarlo, durante un convegno a Firenze
dal titolo 'Leggere e sapere: la scuola degli italiani', è statoTullio De
Mauro, linguista ed ex ministro dell’Istruzione,.
Il quadro statistico appare
veramente deludente. “Il 71% della popolazione - ha ricordato De Mauro
- si trova al di sotto del livello minimo di lettura e comprensione di un testo
scritto in italiano di media difficoltà. Il 5% non è neppure in grado di
decifrare lettere e cifre, un altro 33% sa leggere, ma riesce decifrare solo
testi di primo livello su una scala di cinque ed è a forte rischio di
regressione nell'analfabetismo, un ulteriore 33% si ferma a testi di secondo
livello. Non più del 20% possiede le competenze minime per orientarsi e
risolvere, attraverso l’uso appropriato della lingua italiana, situazioni
complesse e problemi della vita sociale quotidiana. Ce lo dicono due recenti
indagini internazionali, ma qui da noi nessuno sembra voler sentire”.
L’allarme e la forte preoccupazione espresse da Tullio De Mauro investono direttamente il nuovo Governo Monti, “che al momento sembra aver dimenticato l’istruzione”, afferma il linguista dell’Università La Sapienza di Roma, già Ministro della pubblica istruzione. “Il presidente del Consiglio, nel suo discorso, ha parlato velocemente di rialzare il livello della formazione dei lavoratori”. Un ammonimento, quello di De Mauro, che non chiude alla speranza: “Giolitti non parlava mai di istruzione, ma fece cose importanti. Non occorre parlare tanto, basta fare”.
Ma quali fattori possono aver condotto verso un quadro generale, secondo cui solo il 29% degli italiani possiede ancora gli strumenti linguistici per padroneggiare l’uso della nostra lingua nazionale? Per gli esperti, i dati illustrati da De Mauro, discenderebbero da un indebolimento strutturale della nostra società, dopo la fase storica, tra anni Cinquanta e anni Ottanta-Novanta. E non basta dire che “il livello di scolarità è cresciuto fino ad una media di dodici anni di scuola per ogni cittadino, contro i tre anni a testa, in media, del ’51”. La situazione è davvero grave, ha osservato De Mauro, “più grave ancora è che nessuno se ne stia occupando e affronti la questione seriamente, se non un gruppo di stimabili economisti, appunto, tra i quali il nuovo Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Eppure i fatti sono lì e lì rimangono”. E non deve ingannare l’attuale scolarizzazione di massa, già ravvisabile a livello di scuola dell’infanzia: malgrado il fenomeno, almeno in Italia, non abbia precedenti, De Mauro è convinto che esista il pericolo concreto di una “regressione alfanumerica dilagante tra le persone di età adulta: come rilevato da alcuni economisti – ha detto il linguista - è da collegare con il ristagno economico italiano”. Viene da chiedersi cosa accadrà ora, con la crisi che rischia fortemente di allargarsi a macchia d’olio, colpendo anche i Paesi del vecchio Continente che fino a qualche tempo fa tutti reputavano invulnerabili.
L’allarme e la forte preoccupazione espresse da Tullio De Mauro investono direttamente il nuovo Governo Monti, “che al momento sembra aver dimenticato l’istruzione”, afferma il linguista dell’Università La Sapienza di Roma, già Ministro della pubblica istruzione. “Il presidente del Consiglio, nel suo discorso, ha parlato velocemente di rialzare il livello della formazione dei lavoratori”. Un ammonimento, quello di De Mauro, che non chiude alla speranza: “Giolitti non parlava mai di istruzione, ma fece cose importanti. Non occorre parlare tanto, basta fare”.
Ma quali fattori possono aver condotto verso un quadro generale, secondo cui solo il 29% degli italiani possiede ancora gli strumenti linguistici per padroneggiare l’uso della nostra lingua nazionale? Per gli esperti, i dati illustrati da De Mauro, discenderebbero da un indebolimento strutturale della nostra società, dopo la fase storica, tra anni Cinquanta e anni Ottanta-Novanta. E non basta dire che “il livello di scolarità è cresciuto fino ad una media di dodici anni di scuola per ogni cittadino, contro i tre anni a testa, in media, del ’51”. La situazione è davvero grave, ha osservato De Mauro, “più grave ancora è che nessuno se ne stia occupando e affronti la questione seriamente, se non un gruppo di stimabili economisti, appunto, tra i quali il nuovo Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Eppure i fatti sono lì e lì rimangono”. E non deve ingannare l’attuale scolarizzazione di massa, già ravvisabile a livello di scuola dell’infanzia: malgrado il fenomeno, almeno in Italia, non abbia precedenti, De Mauro è convinto che esista il pericolo concreto di una “regressione alfanumerica dilagante tra le persone di età adulta: come rilevato da alcuni economisti – ha detto il linguista - è da collegare con il ristagno economico italiano”. Viene da chiedersi cosa accadrà ora, con la crisi che rischia fortemente di allargarsi a macchia d’olio, colpendo anche i Paesi del vecchio Continente che fino a qualche tempo fa tutti reputavano invulnerabili.
di A.G.
29/11/2011 da Tecnica della scuola