22 settembre 2025

l'Italia non riconosce la Palestina

Questa notte all’assemblea delle nazioni unite tutto il Sud del Mondo riconoscerà la Palestina. La proposta viene da due storici alleati di Israele, Francia e Arabia Saudita. Sì, anche i gli Stati Arabi, che Trump aveva convinto a firmare con Tel Aviv i Patti di Abramo, voteranno a favore. E lo faranno Regno Unito, Canada, Australia, Spagna, Portogallo, Irlanda la maggioranza dei paesi europei, i quattro quinti del Consiglio di Sicurezza. 

Non l’Italia di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini. Che in queste stesse ore innalzano un peana all’America razzista, che odia le donne e le diversità sessuali, che toglie dai musei le immagini degli schiavi e delle loro cicatrici, che perseguita migranti e studenti palestinesi, licenzia chiunque abbia lavorato in organizzazioni per l’aiuto ai paesi poveri, ai poveri d’America, allo minoranze, che caccia giudici colpevoli di aver indagato Trump, o chi si occupa di riscaldamento globale e ugiaglianza. 

Riconoscere la Palestina non vuol dire credere alla soluzione dei Due Stati: Israele di fatto già già annesso la Cisgiordania, recintato Gerusalemme solo a uso degli ebrei, distrutto ogni casa della Striscia per trasformarla in un osceno resort di lusso sulla terra dove sono sepolti decina di migliaia di bambini, madri, medici, giornalisti palestinesi. Riconoscere le Palestina vuol dire che nella terra dal Giordano al Mediterraneo, la terra che una favola biblica, priva di riscontri storici, dice che Dio l’avrebbe promessa al “popolo eletto”, vivono oggi 7 milioni e mezzo di israeliani e 7 milioni e mezzo di palestinesi. E questi ultimi hanno lo stesso diritto di restarci, liberi.

Per questo Israele e Stati Uniti vanno su tutte le furie. Sostengono che quei 7 milioni e mezzo, che quei bambini palestinesi -non i guerriglieri di Hamas, misteriosamente sopravvissuti a 2 anni di stragi- siano non umani. Esseri nocivi da cacciare, da rinchiudere e lasciar morire in qualche deserto dell’Africa. Perché Tel Aviv ha stracciato gli accordi di Oslo e la stretta di mano tra Rabin e Arafat. L’ha stracciata il 4 novembre 1995, quando un colono ebreo -si diceva allora “estremista”- uccise Rabin e Netanyahu cominciò la sua ascesa. E poi, più di recente, quando Trump ha stracciato il tenue legame, se volete la foglia di fico, che legava gli USA al diritto internazionale e al senso stesso delle Nazioni Unite. La soluzione finale - uso il termine che i nazisti inventarono per il problema ebraico- la soluzione finale del problema palestinese è la levatrice del  mondo che potrebbe essere. Del non diritto. Dove si professa la legge del più forte. Si invadono stati come l’Ucraina, si afferma che quelle nazioni non siano mai esistite. Si impongono dazi e si annettono “terre rare”. Si prova a convincere l’opinione pubblica che Pace è Guerra, cioè viene  prima la Guerra e detta la Pace. 

La scelta è semplice. Non è disperata. Perché la stragrande maggioranza delle donne e degli uomini sulla terra condanna Israele e Stati Uniti. Perché i loro governi non sono mai stati tanto isolati. Perché bambini e persone di buona volontà non vorrebbero mai che un tiratore da un tetto uccida Charlie Kirk per le sue idee. E chiunque abbia letto e pensato rifiuta il mondo di Charlie Kirk. In cui le donne nere sono meno intelligenti. Dove chi non si accoppi, maschio e femmina, nella posizione del missionario offende Dio più di chi ammazza. E le armi da guerra è giusto che si vendano al supermercato. Ed è sacra la proprietà dei ricchi e un dono di Dio la povertà di povero. Un mondo in cui ricerca, scienza, dati, spazio siano solo privati.

07 settembre 2025

Il calvario di Francesca Albanese

Poco fa, in una conferenza stampa in Senato organizzata da Avs, Francesca Albanese ha raccontato cosa significhi davvero essere colpita da sanzioni dal Paese più potente al mondo.

È un racconto da brividi, che Meloni e Tajani dovrebbero ascoltare dall’inizio alla fine e magari provare un po’ di vergogna per il loro silenzio.

“Non posso nemmeno aprire un conto corrente bancario, dunque non posso fare quasi niente. Sono rientrata a Napoli per ragioni familiari e, non avendo una carta di credito, non ho potuto nemmeno affittare un’auto. 
Sono costretta a girare con i contanti. 

Sono accusata di essere una minaccia per l'economia globale. 
Questo significa che le persone che hanno rapporti con me, in particolare dal punto di vista finanziario, possono essere soggette a sanzioni penali e pecuniarie fino a un miliardo e a 20 anni di carcere!
Significa, per esempio, che mia figlia, che è cittadina statunitense, è tecnicamente passibile di arresto per avermi comprato un caffè.

Questo ha creato il gelo intorno a me, non per mancanza di fiducia ma per l'atteggiamento di minaccia dell'amministrazione Usa.

Questa nei miei confronti è una modalità punitiva e persecutoria.

Non è solo un attacco a me, è un attacco alle Nazioni Unite, ed è per questo che servono i governi, il mio innanzitutto.
Eppure nessun membro del governo italiano mi ha chiamato per esprimermi solidarietà. Altri governi lo hanno fatto, non quello italiano. 

Se sono sorpresa? In un ordinamento costituzionale ci si aspetta che l'organo preposto a difendere la Costituzione si pronunci su un provvedimento senza precedenti come questo. Spero che gli italiani si rendano conto di quello che sta succedendo in questo Paese”.

Neanche di fronte a una propria connazionale - tra l’altro di questo livello e spessore - che subisce quello che sta subendo Francesca Albanese nell’esercizio delle sue funzioni di relatrice Onu, neanche di fronte a queste parole il governo ha un sussulto di dignità.

Cosa deve subire ancora Francesca Albanese perché il governo italiano la difenda?

Vicinanza umana e morale a questa grande donna, che per mesi ha retto quasi solo sulle proprie spalle la dignità dell’Italia nel mondo sugli orrori di Gaza. 

Non lasciamola sola.