Bluff atomico
di Serge Enderlin
Ritardi, costi fuori controllo, errori di costruzione. Il nuovo reattore di Olkiluoto in Finlandia, doveva essere il fiore all’occhiello dell’industria nucleare europea. Ma qualcosa è andato storto. E’ quanto scrive in una dettagliata inchiesta, Serge Enderlin, giornalista svizzero, collaboratore di “Le Monde magazine” e di “Liberation”. L’inchiesta è parte di un più vasto lavoro tratto dal suo libro “Black Out. Miti e realtà della questione energetica” (Saggiatore editore).
Uno dei cantieri più importanti per le sfide energetiche che deve affrontare l’Europa si trova in Finlandia: è quello della terza centrale nucleare di Olkiluoto. L’impianto, il primo costruito nel continente dopo l’incidente di Cernobyl dell’aprile 1986, è costato finora tre miliardi di euro. Per l’azienda francese Areva, leader mondiale del nucleare civile, non si tratta solo di un grande progetto: è l’inizio di una nuova era. Dotata di un reattore di terza generazione, conosciuto con la sigla EPR (Reattore Nucleare Europeo ad acqua pressurizzata), la centrale finlandese è il fiore all’occhiello della lobby dell’atomo, che negli ultimi tempi ha conosciuto un revival tanto intenso quanto insperato.
Una rapida occhiata alla mappa. Olkiluoto si trova all’estremità di una piccola penisola nel golfo di Botnia, sul mar Baltico. Partendo da Helsinki ci inoltriamo lentamente tra laghi e foreste di abeti. Il paesaggio è pulito ed ordinato, come ci si aspetta in un paese così metodico da praticare la raccolta differenziata dei rifiuti perfino nelle camere d’albergo. Nemmeno l’inverno – che non è più rigido come un tempo, secondo i finlandesi – riesce a turbare quest’ordine impeccabile.
La neve è più bianca che altrove e le strade sono di una pulizia stupefacente. Ci si muove in processione, rispettando scrupolosamente i limiti di velocità e tenendo i fari accesi anche in pieno giorno. La Scandinavia è una regione prospera e disciplinata.
I responsabili della TVO (Teollisuuden Voima Ovj, cioè Compagnia Elettrica Ocidelatale”, che è la proprietaria del sito nucleare di Olkiluoto), hanno accettato di riceverci alle 15, subito prima che faccia buio. A febbraio le giornate sono molto corte. Prima di tutto dobbiamo superare i controlli di sicurezza. Dopo la frontiera che divide la Finlandia dalla Russia, la zona in cui si trovano le centrali è la più protetta del paese. Olkiuoto ospita già due reattori nucleari: Ol-1e Ol-2, messi in funzione rispettivamente nel 1978 e nel 1980. Due “sezioni”, come si dice in gergo, che assicurano un quinto del fabbisogno nazionale di elettricità.
Il pericolo russo
“Documenti!”, grida l’addetta al posto di blocco, dopo una buona mezzora di attesa in coda a una lunga fila di ingegneri in visita. Ci sono sudafricani, coreani, tedeschi e persino kazaki, accorsi per assistere alla gestazione dell’ultimo arrivato tra i grandi progetti atomici. La lettura in finlandese della secutiry clearcance (il nulla osta di sicurezza) richiede un’altra mezzora, il tempo di equipaggiarci con un tesserino elettronico e un casco da cantiere e di disfarci del nostro telefono cellulare. Finalmente entriamo nell’ufficio di Martin Landtman, il direttore del progetto. Affabile ma attento, Landtman ci spiega innanzitutto perché questa nuova enorme centrale (con i suoi megawatt sarà la più potente del mondo) è indispensabile per il paese: “I finlandesi hanno bisogno di quantità sempre maggiori di energia elettrica. Avrete notato che qui da noi ci sono molti abeti e c’è molta acqua. Con questi elementi fabbrichiamo la carta. In questo settore le nostre imprese sono tra le più grandi del mondo. Ma per trasformare il legno in cellulosa servono enormi quantità di energia. Siamo molto attivi anche nella produzione dell’acciaio, altro settore che ha grande sete di elettricità. Il risultato è che la Finlandia è tra i principali consumatori pro capite di corrente. Senza parlare del fatto che d’inverno da noi è sempre buio”. Secondo le stime di Landtman, i 1600 megawatt di Olkiluoto-3 copriranno appena l’aumento dei consumi dei prossimi dieci anni: come a dire che, pur avendo già cinque reattori in funzione, il paese ha bisogno di altre centrali. Come c’era da aspettarsi, c’è anche una giustificazione ecologista: “Ol-3 permetterà anche di ridurre le emissioni di gas serra. La Finlandia deve darsi da fare se vuole raggiungere i suoi obiettivi”. Puntuale poi arriva l’ultimo punto della consueta trilogia di argomenti usati per sostenere la necessità del progetto: i russi. “Noi importiamo corrente elettrica dalla Russia. E i russi sono imprevedibili. Hanno tagliato il gas all’Ucraina senza preavviso. Usano l’energia come uno strumento al servizio della loro politica estera. Bisogna essere prudenti. Ecco perché questa centrale è indispensabile: servirà a garantirci la sicurezza energetica”.
Dopo questo preambolo piuttosto scontato passiamo alle cose serie: in questo cantiere gigantesco niente sembra funzionare. I ritardi non fanno che accumularsi e la messa in funzione, inizialmente prevista per il 2009, è stata posticipata al 2011. Secondo le ultime notizie, tuttavia, il reattore non partirà prima del 2013. Ma c’è di peggio. Le ORG internazionali hanno denunciato problemi e malfunzionamenti. E Greenpeace ha scelto di usare Olkiluoto per dimostrare i pericoli legati alla rinascita del nucleare. Gli attivisti dell’organizzazione accusano Areva, l’azienda costruttrice, di prendersi gioco della comunità internazionale e di produrre energia nucleare senza rispettare le più elementari norme di sicurezza. E dato che il nucleare fa paura, i militanti ecologisti sono riusciti facilmente a cavalcare i timori dei finlandesi. Non passa settimana senza che un giornale locale non sbatta in prima pagina un nuovo scandalo legato ai problemi dell’impianto in costruzione.
Le colpe di Areva
“Siamo molto delusi dal comportamento di Areva”, ammette Martin Landtman. “I francesi ci avevano promesso una centrale chiavi in mano, ma abbiamo l’impressione che queste chiavi si stiano allontanando sempre di più. E’ chiaro, però, che non condivido le affermazioni degli ecologisti: se i lavori sono in ritardo, è proprio perché siamo attentissimi alla sicurezza e rimandiamo al mittente qualsiasi pezzo non conforme alle norme dell’autorità per la sicurezza nucleare finlandese, la cui severità è esemplare”. Un micron in più o in meno si scatena il pandemonio. Succede così spesso che, tra una colata di cemento fatta male e una saldatura imperfetta, i rapporti tra TVO e AREVA sono ormai gestiti dagli avvocati. Prima o poi qualcuno dovrà pagare per queste liti, che valgono miliardi di euro. E probabilmente toccherà ai contribuenti francesi, i fortunati proprietari di AREVA, che è ancora un’azienda pubblica.
Come si è arrivati a tanto? Senza entrare nei dettagli, ecco quel che si può scoprire facendo due passi nei dintorni del sito di Olkiluoto. Basta uscire dal perimetro di sicurezza e farsi un giro dalle parti degli alloggi dei tremila operai: tutti stranieri, come ci aveva detto Landtman, ma soprattutto polacchi e lituani, perché costano meno. Ecco cosa ci ha detto Pawel, 28 anni: “Qui è fantastico. Mille euro al mese per lavorare otto ore al giorno: a Varsavia è un salario da bancari. In questo paese i diritti dei lavoratori sono rispettati”. E il nucleare, è un lavoro complicato? “In realtà io non so nulla di queste cose, non ne capisco niente. Del resto non mi chiedono niente”. Lavorando in un cantiere così a rischio avrete sicuramente ricevuto una formazione particolare in materia di sicurezza, gli dico. “No”, risponde. “Sono arrivato un lunedì alle 7 del mattino e alle 8 stavo già colando il cemento”. Il cemento. Per poco non faceva impazzire Martin Landtman. Un giorno si è reso conto che lo strato posato nel punto in cui doveva essere installata la vasca del reattore non era abbastanza spesso. L’hanno sostituito. Ma era ancora troppo granuloso, forse poroso, e con delle asperità imperdonabili. Hanno ricominciato per la terza volta.
In un secondo momento è stata l’impresa tedesca Babcock Noell, di Wurzburg, a creare qualche problema. L’azienda si è aggiudicata l’appalto per la costruzione della copertura d’acciaio della vasca del reattore, un gigantesco anello che servirà da prima barriera protettiva contro eventuali fughe radioattive. Per ottenere il contratto aveva promesso di usare un acciaio temperato tedesco di prima scelta. Il componente, troppo grande per essere trasportato via terra, è stato spedito via mare. Gli ispettori finlandesi, a quel punto, hanno avuto una spiacevole sorpresa: il lavoro era stato eseguito in modo affrettato. Non c’è voluto molto per scoprire che l’appaltatore tedesco aveva subappaltato in Polonia. E che il subappaltatore polacco aveva trovato molto interessante un altro su-subappaltatore baltico.
Dall’inizio dei lavori, quattro anni fa, Greenpeace ha contato più di mille difetti di costruzione e falle nella sicurezza del cantiere. Una litania che, contro ogni aspettativa, non ha scoraggiato la popolazione: il 55 per cento dei finlandesi resta favorevole all’energia atomica. Un paradosso, visto che nel 1986 la Finlandia fu tra i primi paesi europei a veder passare sopra di sé la nube radioattiva di Cernobyl: la stessa che, almeno secondo le autorità di Parigi, si è miracolosamente formata prima di entrare in Francia. Da bravo filosofo, Landtman non si scoraggia. “Per lungo tempo non abbiamo costruito nuove centrali nucleari”, dice. “E poi l’EPR è una tecnologia nuova, dobbiamo ancora imparare ad usarla. Tuttavia potremmo affermare che all’AREVA le cose sono un po’ sfuggite di mano. E questo è inaccettabile. Perché siamo noi a pagarne le conseguenze”.
Poco più tardi, facciamo il giro del cantiere, tallonati da un responsabile della comunicazione che ha una risposta pronta per ogni domanda (tutto previsto, va tutto bene, siamo molto soddisfatti, un successo tecnologico). Torniamo sui nostri passi. E chiamiamo l’AREVA a Parigi. Da settimane cerchiamo di ottenere un appuntamento con il responsabile francese dei lavori, che avrà sicuramente un ufficio proprio sopra a quello di Landtman. Tutto inutile. “Richiamate lunedì”, ci dicono ogni martedì, da otto settimane.
Dall’uranio all’elettricità
All’uscita del sito di Olkiluoto un cartello stradale ci dice di fare attenzione al passaggio degli alci. Poco lontano un altro indica la direzione da seguire per il centro visite dell’impianto, nascosto tra i pini della riva baia. Il luogo è deserto, quasi accogliente: è ben riscaldato e il profumo del caffè fa venire voglia di fermarsi. E’ un piccolo museo del nucleare, sufficientemente interessante per dedicargli un’ora. Finalmente riusciamo a capire quello che non avevamo mai osato chiedere sull’atomo. Ecco le cose che abbiamo imparato: l’uranio naturale proviene da miniere a cielo aperto o sotterranee. In generale una roccia ne contiene appena tre grammi per tonnellata, in rarissime occasioni fino a dieci grammi. L’uranio viene macinato fino a diventare una polvere finissima. Successivamente è sottoposto a lisciviazione, una tecnica di estrazione dei prodotti solubili che consiste nel far passare dell’acqua attraverso la polvere, come si fa quando si prepara il caffè.
L’uranio ottenuto, però, non è ancora adatto alla produzione di energia, malgrado il passaggio in un filtro contenente ogni sorta di soluzione basiche e acide, alcaline e perossidate. Dopo l’evaporazione si ottiene lo “yellowcake” (U3O8) che non è affatto giallo, ma di un colore variabile tra il marrone e il nero. Fabbricarlo è molto facile: tutti i paesi che hanno miniere di uranio possono farlo. Per i passi successivi sono necessarie competenze professionali più elevate. L’uranio naturale, infatti, è una miscela di varietà diverse di atomi: l’uranio235 e l’uranio 238. Ma l’uranio 235 è più facile da sottoporre a fissione rispetto al 238. Sprigiona molta più energia. E siccome la natura non si preoccupa di questi dettagli, nell’uranio naturale l’U-238 si trova in quantità molto maggiori rispetto al suo cugino pregiato: per l’esattezza c’è un atomo di U-235 ogni 140 di U-238.
La tappa successiva è l’arricchimento, cioè l’aumento del numero di atomi dell’U-23. Questo processo si realizza per mezzo di diffusione gassosa. L’uranio (in questa fase ancora sotto forma di yellowcake) è convertito in esafluoruro di uranio (UF6). Una volta arricchito nelle centrifughe – una tecnica ben nota agli iraniani – il materiale è trasformato in ossido di uranio, una polvere nera che viene poi compresa in piccole pastiglie, dette pellet, delle dimensioni di un tappo di bottiglia. I pellet sono fatti scivolare in tubi di zirconio, le cosiddette matite. Una volta assemblate tra loro, le matite costituiscono una barra di combustibile nucleare lunga tre metri e pronta all’uso. Basta immergere alcune decine di queste barre nel cuore del reattore per provocare la reazione a catena. I due reattori di Olkiluoto in attività consumano 90 tonnellate di uranio all’anno,
Le matite vengono fabbricate in Germania, Francia e Spagna, soprattutto da AREVA. Come ci spiegano al centro visite, ogni pellet di uranio contiene moltissima energia. Bastano tre pastiglie per fornire corrente elettrica a una famiglia finlandese per un anno. E di uranio, ci rassicura un altro pannello, nel mondo ce n’è a sufficienza. “L’uranio è un elemento piuttosto comune. La terraferma ne nasconde in media quattro grammi per tonnellata, mentre l’acqua di mare circa tre grammi. Nelle miniere la concentrazione è molto più elevata. Le riserve più grandi si trovano in Canada e in Australia. Al ritmo di estrazione attuale, ne resta per almeno altri cinquant’anni”. Cinquant’anni appena? In altre parole, il picco della produzione è vicinissimo. Soprattutto se il mondo riprenderà la corsa al nucleare, come sembra inevitabile: preoccupati per la fine annunciata degli idrocarburi, intrappolati dalla crisi climatica e dalle promesse di ridurre le emissioni di gas serra, i governi annunciano uno dopo l’altro il rilancio della filiera nucleare.
Clinicamente morta dopo Cernobyl, oggi l’energia atomica rinasce ovunque. Tranne che in Francia, dove non c’è nulla da resuscitare, visto che l’atomo ha sempre goduto di ottima salute. Giudicate voi: la Gran Bretagna sta progettando almeno una ventina di nuovi reattori. La Germania, che aveva adottato un piano per il ritiro definitivo dal nucleare all’inizio del secolo su impulso del governo rosa-verde del cancelliere Gerhard Schroder, oggi fa marcia indietro. Anche la Svizzera vuole altri tre reattori: il governo federale di Berna sta ricevendo richieste da parte delle principali compagnie elettriche della confederazione. Perfino in Italia, un paese profondamente spaventato dal nucleare, Silvio Berlusconi ha deciso un radicale cambio di rotta, anche grazie all’aiuto di Parigi, che fornirà le competenze tecniche. E che dire degli Stati Uniti, della Russia, dell’India e della Cina? In totale, tra le centrali in costruzioni, quelle programmate e quelle proposte, sono oltre duecento i reattori che potrebbero spuntare nel mondo nei prossimi vent’anni. Anche l’Ucraina, la patria di Cernobyl, ha lanciato un piano per 22 sezioni supplementari.
Mettetevi ora nei panni di Anne Lauvergeon, amministratore delegato di AREVA. Con il mercato in rapida crescita, per la ex fedelissima di François Mitterrand le prospettive sono più che rosee. Certo, ci sono dei concorrenti, come la tedesca Siemens (che ha appena siglato un accordo con la russa Rusatom, dopo aver divorziato proprio da AREVA) o la giapponese Mitsubishi. Ma Atomic Anne, come la chiama il “New York Times”, sa di poter contare sull’appoggio incondizionato del presidente Nicolas Sarkozy, che in un certo senso è anche il suo agente di commercio. In ogni viaggio all’estero, l’uomo dell’Eliseo offre ai governi stranieri il nucleare francese su un piatto d’argento. Lo ha fatto in Sudafrica, in Cina, in Marocco, in Giordania, negli Emirati Arabi (che pure non hanno problemi di energia), e perfino in Libia con il colonnello Gheddafi, un potenziale cliente non proprio irreprensibile e di certo non a corto di oro nero. Tutto questo pone il problema della proliferazione.
E’ giusto vendere il nucleare civile ovunque, considerandolo uno dei pochi prodotti da esportazione in cui la Francia eccelle ancora? E’ giusto condannare la ricerca nucleare di Teheran (ufficialmente per scopi civili), e intanto cercare di rifilare la propria panoplia atomica a paesi arabi considerati instabili? Non esistono alternative meno brutali, meno politiche, meno conflittuali per risolvere i problemi energetici del pianeta?Mentre torniamo a Helsinki ci fermiamo a fare benzina dalle parti di Turku e facciamo quattro chiacchiere con un tipo bizzarro che si lamenta dello strano inverno in corso. “Di solito”, dice, “tutti i laghi sono gelati in questa stagione,e anche il mare vicino alla riva. Ho una casetta su un’isola a 600 metri dalla costa. Di solito ci andavo in macchina, il ghiaccio era abbastanza spesso. Ma quest’anno non fa abbastanza freddo e l’acqua non ha ghiacciato. Le giornate sono cupe. Troppa poca neve, il riverbero non è sufficiente. Ogni giorno è una lunga alba grigia. E questo pesa sul morale”. Dall’Alberta alla Finlandia, l’aumento delle temperature è cronaca di tutti i giorni. E per la lobby nucleare è un dono del cielo. Da quando la riduzione delle emissioni di gas serra è diventata un imperativo per tutto il mondo, il nucleare ha dalla sua un’arma in più: con la produzione di energia atomica, infatti, si emettono solo quantità minime di CO2.
Accuse e menzogne
All’hotel Klaus K, a Hensinki, incontriamo Lauri Myllyvirta, un giovane che ha vissuto un breve momento di notorietà quando, insieme ad altri cinque militanti di Greenpeace, si è incatenato per cinque giorni sulla cima di una grande gru rossa nel cantiere di Olkiluoto. I sei hanno srotolato uno striscione e hanno risposto alle domande dei giornalisti usando il cellulare, perché stavano troppo il alto per far sentire le loro voci. Sotto, la polizia si spazientiva, ma non osava intervenire. “Se salite, ci buttiamo giù!”, gridavano. Quest’impresa è valsa ai sei attivisti qualche giorno di galera e una condanna con la condizionale, non certo una novità per dei militanti agguerriti.
Secondo Lyllyvirta, Olkiluoto è una manna per Greenpeace: è la prova provata che il nucleare è una fabbrica di menzogne, gestito in modo troppo centralizzato e senza trasparenza, in cui si confondono gli interessi delle società elettriche e quelli dello stato a scapito dei cittadini. “In Finlandia, come in tutti i paesi atomici”, racconta, “c’è un’autorità nucleare di sorveglianza, la Stuk, che ha il compito di certificare ogni tappa dei lavori fino al giorno in cui la centrale verrà collegata alla rete elettrica. Si presume che la Stuk sia al di sopra di ogni sospetto, indipendente e imparziale. Ma quando i suoi esperti parlano di Ol-3, la chiamano “la nostra centrale”.
Dal punto di vista economico il nucleare non è redditizio. I costi reali di costruzione e di sfruttamento vengono nascosti per dare l’illusione di potenziali profitti futuri. AREVA aveva promesso una centrale da tre miliardi di euro. Nella migliore delle ipotesi, ne costerà cinque. E la differenza la pagheremo con la bolletta dell’elettricità, Inoltre il nucleare non contribuisce affatto a ridurre le emissioni di CO2. Considerate prima di tutto la durata dei cantieri e l’energia necessaria per portarli a termine. Tenete conto della catastrofe ecologica che rappresentano le miniere di uranio. Andate a chiedere il parere dei tuareg del Niger, dove AREVA sfrutta – è la parola giusta – una miniera gigantesca. Considerate le centinaia di migliaia di chilometri percorsi dai camion per far circolare le barre di combustibile nucleare dal luogo di fabbricazione fino alle centrali, dalle centrali fino ai centri di trattamento e poi da questi ultimi fino ai siti di stoccaggio temporaneo delle scorie. Aggiungete ai convogli di camion le scorte di veicoli militari o di polizia, perché non si porta in giro l’uranio come se fosse carbone. No, il nucleare non è ecologico: è una presa in giro. Ma la lobby dell’atomo è riuscita a convincere tutti del contrario, devo riconoscerlo. La necessità di una nuova centrale viene giustificata con la sete di energia delle cartiere finlandesi. Ma con la diffusione di internet e della posta elettronica, in Europa il consumo di carta è calato del 20 per cento negli ultimi dieci anni. Helsinki mantiene artificialmente basso il prezzo dell’elettricità (i finlandesi pagano meno di tutti gli altri europei) per non incoraggiare un consumo responsabile. E potrei continuare”.
Cavie finlandesi
Prima di lasciarci Myllyvirta lancia una profezia: “Se non diamo priorità alle energie rinnovabili, entro dieci anni i bambini di Helsinki vedranno la neve soltanto in televisione. Esagero? Quest’anno i primi allarmi per le allergie da pollini sono stati lanciati a febbraio”.
A questo punto ci resta da trovare qualcuno con cui parlare dello Stuk, un nome che non ci convince. Forse perché evoca qualche servizio segreto dell’Europa orientale o un vecchio bombardiere della Luftwaffe. L’autorità finlandese di sorveglianza sul nucleare ha sede in un palazzo anonimo stretto tra due bretelle autostradali in un quartiere periferico della capitale. Il direttore non c’è. E’ il suo giovane vice, Petteri Tiippana, a riceverci. Non è proprio un tipo allegro. Il che ci rassicura, considerando le responsabilità che ha. Tiippana è il capo della squadra di pronto intervento e ha il compito di controllare ogni dettaglio nel cantiere di Ol-3. Il bilancio che traccia fa rabbrividire: “Il mio lavoro? E’ un sacerdozio, quasi un incubo”, dice prima di cominciare, “Il problema di AREVA, che è anche quello della TVO e quindi, in ultima analisi, quello di tutti i finlandesi , è che nei vent’anni seguiti alla costruzione dell’ultima centrale europea molte competenze specifiche sono andate perdute. Aggiungo anche che l’EPR è un reattore di nuova generazione: è come se la Finlandia si fosse offerta volontaria per fare da cavia. Ho la sensazione che AREVA scopra i problemi portando avanti il lavoro. Sono stati troppo ottimisti, hanno fatto promesse che non potevano mantenere, sono andati troppo veloci perché speravano in una scintillante pubblicità planetaria. Sono arrivati con dei piani generici, non abbastanza dettagliati, e con solo quattrocento ingegneri, mentre ne sarebbero serviti molti di più. Ora sono mille e bastano appena. La storia del subappalto alla Babcock Neoll ci ha delusi”. Tiippana, tuttavia, non ammette che la AREVA ha trattato i finlandesi come degli imbecilli. Ma lo pensa, ed è impossibile non accorgersene.
Secondo le previsioni della TVO, il reattore Ol-3 rimarrà attivo per sessant’anni. Se dovesse cominciare a funzionare nel 2013, sarà spento intorno al 2073. A meno di un improbabile miracolo, Martin Landtman, Lauri Myllyvirta e Peteri Tiippana – e anche chi scrive – saranno morti da tempo quando si procederà allo smantellamento definitivo del sito, previsto per il 2120. Di tutte le fonti di energia esistenti, il nucleare è l’unica che mette a rischio le sorti delle generazioni future per un periodo così lungo. Oggi, cinquantasette anni dopo la produzione dei primi kilowatt nucleari della storia nella centrale di Arcom, nell’Idaho, non ‘è ancora una soluzione definitiva per lo stoccaggio delle scorie.
tratto da Notizie Radicali 2/4/2010
12 aprile 2010
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