11 marzo 2012

Democrazia e Grandi Opere


di Furio Colombo da IlFattoQuotidiano
La democrazia ha un limite. Finisce dove cominciano le grandi opere. Sentite Violante: “Ci sono molti modi legali di contestazione. Dopodiché se si deve fare o no una grande opera non lo possono decidere i cittadini, perché riguarda molti altri che gli abitanti, mettiamo, di Bussoleno.(…). Poi deve scattare una solidarietà reciproca. Anche il cittadino deve dare dal basso la solidarietà all’opera pubblica. Senza grandi opere nessun Paese si sviluppa.” (Il Corriere della Sera, 5 marzo 2012). In questo testo esemplare le parole chiave sono “consultazione”, che significa che puoi presentarti e dire la tua opinione e poi tornare a casa; “solidarietà”, che è richiesto come un sentimento a senso unico: dei cittadini verso lo Stato, non dello Stato verso i cittadini; “radicalizzazione”, che descrive la propensione sbagliata a dire no alla grande opera; “estraneità” dei cittadini alla decisione: “non possono decidere gli abitanti di un luogo”.

Però tutti i consultati sono di volta in volta gli abitanti di un luogo. Viene così sancita con chiarezza la sacralità della grande opera. Infatti nel testo citato dal Corriere le parole “Grandi Opere” sono sempre scritte con la maiuscola. Trascrivo dalla stessa citazione: “Non può essere messo sulle stesso piano chi adempie a una decisione nazionale e internazionale già democraticamente presa e chi impedisce a un cantiere di lavorare. È responsabilità di governo far rispettare le leggi.”

Un ponte inesistente collega una parte di questa frase all’altra. Sono le parole “decisione nazionale e internazionale democraticamente presa.” Qui entriamo nello stesso gioco psicologico che rende possibili le guerre, anche contro il sentimento della opinione pubblica. Fanno eco da lontano le parole ferme, virili, di Mauro Moretti, capo delle Ferrovie dello Stato: “Il tracciato Torino-Lione è fissato. Andiamo avanti con quello.” Seguite la storia della cosiddetta mediazione fra gli stessi cittadini della stessa valle sotto diversi governi (Prodi, D’Alema, Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti ), condotta da un Architetto Virano di Torino, e vi rendete conto che ci si riunisce intorno alla decisione già presa, non intorno a un dibattito fra il sì e il no. Il no è cancellato all’origine. Virano: “Non c’è nulla di razionale in questa protesta. La Tav ha assunto un valore simbolico per una certa enclave politico-sindacale”. Già da queste parole è evidente la piega sbagliata della missione. Si tratta di persuadere, non di mediare. Non si media con una grande opera (usare le maiuscole) indispensabile all’Italia e al mondo.

Ecco il problema della democrazia di fronte alle grandi opere. Dove ci si presenta per dire no? E perché la grande opera è sempre, di volta in volta, voluta da tutti, meno che da coloro che, di luogo in luogo, si oppongono?

Impossibile proseguire senza far notare due aspetti di eventi come questi: uno è il costo, che è la tipica caratteristica della grande opera, molto più del suo senso o destinazione. Il costo è sempre immenso. E il secondo è il rapporto fra la grande opera in discussione e le altre grandi opere appena fatte, in corso o in attesa di costruzione. Anche per esse il costo è immenso. Possono dei cittadini, sia pure organizzati e coalizzati, fermare il dilagare di simili somme di danaro, con tutte le sue conseguenze imprenditoriali e politiche che fatalmente avranno, mentre quel danaro praticamente illimitato impianta cantieri e fa nascere foreste di gru e di ruspe?

E non è un grave danno per tutti se – con la tua ostinazione a dire no – produci perdite che aumentano il costo già immenso a carico di noi tutti? Il fatto è che ogni volta che si affaccia all’orizzonte della vita pubblica una grande opera che, di volta in volta, porta il rischio di devastare un paesaggio e cambiare milioni di vite, si produce una sorta di tsunami. La natura di questo tsunami è che investe i cittadini da una parte e dall’altra dello schieramento politico. Tutte le costosissime grandi opere sono trasversali e sono sempre unica strada per lo sviluppo, sempre per il bene di tutti.

Un buon esempio di indispensabile grande opera e di rivolta allo stesso tempo vasta e impossibile dei cittadini è il cosidetto “corridoio tirrenico”, una autostrada da Civitavecchia a Livorno che stanno per costruire lungo il mare proprio nei giorni della Tav, una autostrada chiesta da nessuno che cancellerà la Via Aurelia. La nuova opera correrà accanto alla ferrovia, che c’è e che funziona per merci e passeggeri. Ma orde di Tir inquinanti invaderanno lo splendido lungomare tirrenico, perchè serve al Paese, dà respiro al trasporto su gomma che ci collega al mondo. Ma a Torino il carico di quei Tir dovrà passare sul treno nuovo fiammante della Tav, che avrà sventrato la Val di Susa, per non inquinare la valle e per non isolarci dal resto del mondo. Le due grandi opere sono volute con passione da destra e sinistra, contro due diverse popolazioni italiane che cercano invano di salvare la loro terra. Lo so che c’è un che di folle, da film dell’assurdo, in questa storia. Ma c’è anche “una forte volontà politica” saldamente trasversale. E un costo immenso. Vi basta per scrivere “grandi opere” con la maiuscola e usare il “codice Violante” per mettere al loro posto (piccolo, irrilevante) i cittadini riottosi?
11/3/12

27 febbraio 2012

Artic Experience

Un camper di serie a Capo Nord in pieno inverno. Filmati e diario di viaggio.

Moderati a bastonate

Dal Manifesto del 27 2 2012 a firma di Alessandro Robecchi

Gentili signori. Grazie per esservi iscritti al nostro corso «Diventa moderato in tre lezioni e, se serve, a bastonate». Lasciate che vi presenti i tre relatori e le linee guida del loro pensiero.

Sergio Marchionne ci spiegherà che essere moderati aiuta. Per esempio aiuta a lavorare alla Fiat di Pomigliano. Come fare? Semplice: promettendo investimenti in cambio di un accordo. Poi, firmato l'accordo, fare il gesto dell'ombrello e scordarsi di aver mai pronunciato la frase «venti miliardi di investimenti». In presenza di sindacati moderati particolarmente ottusi che se ne scordano anche loro, il gioco può essere ripetuto. O si esporta in Usa o si chiudono due fabbriche. Funziona. Davanti a un cazzotto in faccia, infatti, l'estremista pensa: «Ehi, perché mi picchi?», mentre il moderato pensa «Beh, poteva andar peggio, poteva spezzarmi una gamba».

Elsa Fornero, ministro del lavoro, sa che la maggior parte dei lavoratori sono licenziabili anche per motivi discriminatori, mentre alcuni no perché protetti dall'articolo 18. Estenderlo a tutti, dunque? Siete pazzi? Un vero moderato dirà: prima leviamolo a tutti (fase uno) e poi diamo degli ammortizzatori sociali (fase due). Quando si scoprirà che per la fase due non ci sono soldi, i moderati che ci sono cascati dovrebbero spararsi in un piede, ma non lo faranno, perché essi detestano i gesti estremi. È un altro pregio dei moderati: sparano sempre a qualcun altro.

Mario Monti ci parlerà invece della moderazione per sottrazione. Avendo in programma di comprare 131 cacciabombardieri, avrebbe potuto dire «Annulliamo l'ordine». Ma l'estremismo non paga, amici, e così ha deciso che ne compreremo «soltanto» 90. Quando i soliti fastidiosi estremisti chiederanno: «Che cosa cazzo ce ne facciamo esattamente di 90 bombardieri?», i moderati potranno soavemente rispondere: «Ma non siete mai contenti!».
Grazie. Il nostro corso finisce qui. La retta? Tranquilli, avete già pagato.