10 luglio 2020

Galli

Galli: "Questo virus è in grado di fare il giro del mondo e tornarci addosso quando gli pare"
Il direttore di Malattie Infettive all’ospedale Sacco di Milano: "Non è come l'influenza. Meno del 10% delle persone infettate sono responsabili di oltre l'80% delle nuove infezioni"
Questo virus è in grado di girare per il pianeta e tornarci addosso quando gli pare”. A parlare in collegamento con Cartabianca è Massimo Galli, direttore di Malattie Infettive all’ospedale Sacco di Milano.

“Da mesi mi spacco la testa per capire cosa potrebbe succedere, ho cercato di non fare mai l’indovino e di basarmi sui numeri. Mi sento di dire che non è certo che qualcosa debba accadere per forza in autunno. Questa non è una malattia come l’influenza, si diffonde in maniera diversa. Meno del 10% delle persone infettate sono responsabili di oltre l′80% delle nuove infezioni”, afferma Galli.

E aggiunge: “C’è un fattore di dispersione totalmente diverso rispetto all’influenza. Se mi becco l’influenza, è probabile che la trasmetta a qualcuno. Qui, abbiamo una minoranza di persone responsabili della maggioranza delle infezioni. E molte di queste persone sono asintomatiche”.

“Questo virus è in grado di girare per il pianeta e tornarci addosso quando gli pare. Con che forza, non lo sappiamo. Non riusciremo a prevenire completamente eventuali infezioni, dobbiamo riuscire a prevenire nuovi focolai”, ha concluso.

30 giugno 2018

Io ero il popolo, ora ho scoperto che sono solo

Oggi sul Corriere della Sera è apparso un interessante articolo dal titolo di cui sopra a firma di Mauro Covacich che inizia così:"Io ero il popolo, ora ho scoperto che sono solo.
Essere altruisti richiede un passaggio mentale complicato che nessuno è più disposto a sostenere, essere egoisti invece viene naturale, è facile e non costa nulla. Per aiutare il prossimo occorre credere in un progetto comune, condividere un ideale."
Lo puoi leggere a questo link.

20 dicembre 2016

Caro Poletti, avete fatto di noi i camerieri d'Europa

Caro Ministro Poletti,

le sue scuse mi imbarazzano tanto quanto le sue parole mi disgustano.

Siamo quelli per cui il Novecento è anche un patrimonio cinematografico invidiabile, che non inseguiva necessariamente i botteghini della distribuzione di massa, e lì imparammo che le parole sono importanti, e lei non parla bene.

Non da oggi.

A mia memoria da quando il 29 novembre 2014 iniziò a dare i numeri sul mercato del lavoro, dimenticandosi tutti quei licenziamenti che i lavoratori italiani, giovani e non, portavano a casa la sera.

Continuò a parlare male quando in un dibattito in cui ci trovammo allo stesso tavolo dichiarò di essere “il ministro del lavoro per le imprese”, era il 18 aprile del 2016.

Noi, quei centomila che negli ultimi anni siamo andati via, ma in realtà molti di più, non siamo i migliori, siamo solo un po’ più fortunati di molti altri che non sono potuti partire e che tra i piedi si ritrovano soltanto dei pezzi di carta da scambiare con un gratta e vinci.

Parlo dei voucher, Ministro.

E poi, sa, anche tra di noi che ce ne siamo andati, qualcuno meno fortunato esiste. Si chiamava Giulio Regeni, e lui era uno dei migliori. L’hanno ammazzato in Egitto perché studiava la repressione contro i sindacalisti e il movimento operaio. L’ha ammazzato quel regime con cui il governo di cui lei fa parte stringe accordi commerciali, lo stesso governo che sulla morte di Giulio Regeni non ha mai battuto i pugni sul tavolo, perché Giulio in fin dei conti cos’era di fronte ai contratti miliardari?

Intanto, proprio ieri l’Inps ha reso noto che nei dieci mesi del 2016 sono stati venduti 121 milioni e mezzo di voucher. Da quando lei è ministro, ne sono stati venduti 265.255.222: duecentosessantacinquemilioniduecentocinquantacinquemiladuecentoventidue.

Non erano pistole, è sfruttamento.

Sa, qualcuno ci ha rimesso quattro dita a lavorare a voucher davanti a una pressa. È un ragazzo di ventuno anni, non ha diritto alla malattia, a niente, perché faceva il saldatore a voucher. Oggi, senza quattro dita, lei gli offrirà un assegno di ricollocazione da corrispondere a un’agenzia di lavoro privata. Magari di quelle che offrono contratti rumeni, perché tanto dobbiamo essere competitivi.

Quelli che sono rimasti sono coloro che per colpa delle politiche del suo governo e di quelli precedenti si sono trovati in pochi anni da generazione 1000 euro al mese a generazione a 5000 euro l’anno.

Lo stesso vale per chi se n’è andato e forse prima o poi vi verrà il dubbio che molti se ne sono andati proprio per questo.

Quelli che sono rimasti sono gli stessi che lavorano nei centri commerciali con orari lunghissimi e salari da fame.
Quelli che fanno i facchini per la logistica e vedono i proprio fratelli morire ammazzati sotto un tir perché chiedevano diritti contro lo sfruttamento. Sono quelli che un lavoro non l’hanno mai trovato, quelli che a volte hanno pure pensato “meglio lavorare in nero e va tutto bene perché almeno le sigarette posso comprarle”.

Sono gli stessi che non possono permettersi di andare via da casa, o sempre più spesso ci ritornano, perché il suo governo come altri che lo hanno preceduto, invece di fare pagare più tasse ai ricchi e redistribuire le condizioni materiali per il soddisfacimento di un bisogno di base e universale come l’abitare, ha pensato bene di togliere le tasse sulla casa anche ai più ricchi e prima ancora di approvare il piano casa.

È lo stesso governo che spende lo zero percento del Pil per il diritto all’abitare.

È lo stesso governo che si rifiuta di ammettere la necessità di un reddito che garantisca a tutti dignità.

Ma badi bene, non sono una “redditista”, solo che a fronte di 17 milioni di italiani a rischio povertà, quattro milioni in condizione di povertà assoluta, mi pare sia evidente che questo passaggio storico per l’Italia non sia oggi un punto d’arrivo politico quanto un segno di civiltà.

Ma vorrei essere chiara, il diritto al reddito non è sostituibile al diritto alla casa, sono diritti imprescindibili entrambi.

E le vorrei sottolineare che non è colpa dei nostri genitori se stiamo messi così, è colpa vostra che credete che siano le imprese a dover decidere tutto e a cui dobbiamo inchinarci e sacrificarci.

I colpevoli siete voi che pensate si possano spostare quasi 20 miliardi dai salari ai profitti d’impresa senza chiedere nulla in cambio- tanto ci sono i voucher- e poi un anno dopo approvate anche la riduzione delle tasse sui profitti. Così potrete sempre venirci a dire che c’è il deficit, che si crea il debito e che insomma la coperta è corta e dobbiamo anche smetterla di lamentarci perché, mal che vada, avremo un tirocinio con Garanzia Giovani.

I colpevoli siete voi che non credete nell’istruzione e nella cultura, che avete tagliato i fondi a scuola e università, che avete approvato la buona scuola e ora imponete agli studenti di andare a lavorare da McDonald e Zara.
Sa, molti di quei centomila che sono emigrati lavorano da McDonald o Zara, anche loro hanno un diploma o una laurea e se li dovesse mai incontrare per strada chieda loro com’è la loro vita e se sono felici. Le risponderanno che questa vita fa schifo. Però ecco: a differenza di quel che ha decretato il suo governo, questi giovani all’estero sono pagati.

Ma il problema non è neppure questo, o quanto meno non il principale.

Il problema, ministro Poletti, è che lei e il suo governo state decretando che la nostra generazione, quella precedente e le future siano i camerieri d’Europa, i babysitter dei turisti stranieri, quelli che dovranno un giorno farsi la guerra con gli immigrati che oggi fate lavorare a gratis.

A me pare chiaro che lei abbia voluto insultare chi è rimasto piuttosto che noi che siamo partiti. E lo fa nel preciso istante in cui lei dichiara che dovreste “offrire loro l'opportunità di esprimere qui capacità, competenza, saper fare”.

La cosa assurda è che non è chiaro cosa significhi per lei capacità, competenze e saper fare.

Perché io vedo milioni di giovani che ogni mattina si svegliano, si mettono sul un bus, un tram, una macchina e provano ad esprimere capacità, competenze, saper fare. Molti altri fanno la stessa cosa ma esprimono una gran voglia di fare pure se sono imbranati. Fin qui però io non ho capito che cosa voi offrite loro se non la possibilità di essere sfruttati, di esser derisi, di essere presi in giro con 80 euro che magari l’anno prossimo dovranno restituire perché troppo poveri.

Non è chiaro, Ministro Poletti, cosa sia per lei un’opportunità se non questa cosa qui che rasenta l’ignobile tentativo di rendere ognuno di noi sempre più ricattabile, senza diritti, senza voce, senza rappresentanza. Eppure la cosa che mi indigna di più è il pensiero che l’opportunità va data solo a chi ha le competenze e il saper fare.

Lei, ma direi il governo di cui fa parte tutto, non fate altro che innescare e sostenere diseguaglianze su tutti i fronti: dalla scuola al lavoro, dalla casa alla cultura, e sì perché questo succede quando si mette davanti il merito che è un concetto classista e si denigra la giustizia sociale.

Perché forse non glielo hanno mai spiegato o non ha letto abbastanza i rapporti sulla condizione sociale del paese, ma in Italia studia chi ha genitori che possono pagare e sostenere le spese di un’istruzione sempre più cara. E sono sempre di più, Ministro Poletti.

Lei non ha insultato soltanto noi, ha insultato anche i nostri genitori che per decenni hanno lavorato e pagato le tasse, ci hanno pagato gli asili privati quando non c’erano i nonni, ci hanno pagato l’affitto all’università finché hanno potuto.

Molti di questi genitori poi con la crisi sono stati licenziati e finita la disoccupazione potevano soltanto dirci che sarebbe andata meglio, che ce l’avremmo fatta, in un modo o nell’altro. In Italia o all’estero. Chieda scusa a loro perché noi delle sue scuse non abbiamo bisogno.

Noi la sua arroganza, ma anche evidente ignoranza, gliel’abbiamo restituita il 4 dicembre, in cui abbiamo votato No per la Costituzione, la democrazia, contro l’accentramento dei poteri negli esecutivi e abbiamo votato No contro un sistema istituzionale che avrebbe normalizzato la supremazia del mercato e degli interessi dei pochi a discapito di noi molti.

Era anche un voto contro il Jobs Act, contro la buona scuola, il piano casa, l’ipotesi dello stretto di Messina, contro la compressione di qualsiasi spazio di partecipazione.

E siamo gli stessi che faranno di tutto per vincere i referendum abrogativi contro il Jobs Act, dall’articolo 18 ai voucher, la battaglia è la stessa.

Costi quel che scosti noi questa partita ce la giochiamo fino all’ultimo respiro.

E seppure proverete a far saltare i referendum con qualche operazioncina di maquillage, state pur certi che sugli stessi temi ci presenteremo alle elezioni dall’estero e dall’Italia.

Se nel frattempo vuole sapere quali sono le nostre proposte per il mondo del lavoro, ci chiami pure. Se vi interessasse, chissà mai, ascoltare.

Marta Fana
Ricercatrice italiana a Parigi

26 aprile 2015

Brescia galleggia sui veleni: in falda cromo fino a 4mila volte i limiti.

Interessante articolo apparso sul Corriere della Sera nell'edizione Bresciana, con la possibilità di scaricare i dati Arpa.
Vai all'articolo

15 novembre 2013

"Violate le chiavi più segrete del web": controlli su conti correnti e transazioni

Infranti i protocolli di sicurezza usati da milioni di persone. Dal 2010 i servizi Usa e Gb possono leggere i dati cifrati. Allarme fra gli esperti della rete


IL LUCCHETTO è spezzato. La sicurezza è finita. L'home banking, gli acquisti online, le comunicazioni riservate, le reti intranet, insomma, tutto ciò che, sulla rete, fino a ieri veniva ritenuto "sicuro", da oggi non lo è più. E' questa la notizia che, coperta dal clamore un po' confuso del datagate, sta rivoluzionando, in queste ore, lo scenario del web. E quindi del pianeta.

Il simbolo, il certificato di morte sulle "comunicazioni protette", è il sorriso beffardo di un emoticon: due punti, chiusa parentesi. La faccina è disegnata insolitamente a penna su uno degli ultimi documenti usciti dall'archivio di Edward Snowden, nel quale si spiega con uno schema come la Nsa - National Security Agency -  riesca a pescare a piacimento dentro i datacenter di Google e Yahoo. Prism spiegato ai ragazzini, in apparenza.

Se non fosse, appunto per quella faccina, e per quello che c'è scritto dopo: "SSL added e removed here!". Il punto esclamativo è più che comprensibile, perché quella frase, tradotta dal linguaggio degli smanettoni all'italiano comune significa che il protocollo di sicurezza SSL, quello che protegge tutte le comuni operazioni "sicure", ad esempio la consultazione del vostro conto corrente online o le informazioni militari della Difesa, è saltato. Non esiste più. Anzi, peggio, esiste ancora, dando all'utente l'illusione di sicurezza, ma può essere agilmente scavalcato. Ma da chi? Ovviamente dalla Nsa, come dimostra il documento. Ma non solo.

IL PRIMO COLPO DI PICCONE
Santa Barbara, Stati Uniti. Agosto del 2007. Durante la conferenza annuale sulla crittografia, due giovani informatici della Microsoft, Dan Shumow e Niels Ferguson, svegliano tutti dal torpore di quel martedì sera annunciando la possibile esistenza di una back door nell'algoritmo alla base dei protocolli di sicurezza di Internet. Le back door, le porte sul retro, sono l'eldorado degli hacker e delle spie. Si tratta minuscoli e invisibili buchi nei sistemi di sicurezza - appositamente previsti dai programmatori - che consentono l'accesso ai pannelli di controllo dei vari siti. Da lì si può vedere tutto quello che succede su un sito, quindi assumere informazioni specifiche e generiche, dati e metadati. Una back door nel sistema di Skype o di Gmail permetterebbe a chi ne avesse le chiavi d'accesso di conoscere tutto delle nostre conversazioni.

La notizia data quel giorno di Agosto a Santa Barbara dalla coppia Shumrow e Ferguson era dunque una sorta di bomba atomica. Che però non esplose. Non ebbe seguito. Le parole dei due  rimasero confinate negli ambienti underground dei cyber-catastrofisti - il settore ne è strapieno - e degli esperti di sicurezza della rete.

Sei anni dopo, però, arriva il documento di Snowden, quello con la faccina. Al momento della sua pubblicazione non è freschissimo, a dire il vero: il timbro è del 2010 e tre anni in questo settore sono tempi biblici. E per questo è ancora più inquietante. Nel documento, la Nsa comunica all'agenzia britannica, testualmente, che  "Vaste quantità di dati Internet cifrati che fino a ora sono stati messi da parte sono adesso utilizzabili". Secondo i report resi pubblici dalla "talpa", la Nsa è in grado di decriptare il traffico di rete protetto dai protocolli Ssl. Ma non solo, anche un altro protocollo di sicurezza evoluto, il Tls, e il servizio Vpn , sarebbero stati aggirati. Insomma: quel vaticinio apocalittico lanciato nel 2007 dai due esperti di Microsoft, e allora snobbato, è diventato realtà.

IL CROLLO DELLA DIGA
Esiste una back door. E nulla è più al sicuro. Qui si entra nel tecnico, ma la cosa è meno complessa di quanto  "Dual-EC_Drbg", il nome dell'algoritmo che pare essere al centro della partita (si sta indagando anche su un altro, l'RC4), possa far pensare. Il metodo più diffuso per criptare i messaggi si basa su un generatore casuale di numeri, il "Dual" appunto, numeri che vengono poi cifrati mediante algoritmi. Con un'operazione coperta dal segreto durata almeno una decina di anni, con un esborso per i contribuenti americani di circa 250 milioni di dollari, la Nsa ha bucato quel sistema. Non è ancora chiaro se abbia hackerato proprio il generatore di numeri o solo gli algoritmi, ma il risultato più o meno è lo stesso.

L'equivalente inglese della Nsa, la Gchq, che da anni stava affrontando lo stesso problema, non è rimasta certo indietro. Nel 2010 faceva sapere ai "cugini-amici" dell'Nsa di essere in grado di decriptare il traffico di 30 prodotti basati sul protocollo VPN e di poter arrivare a 300 nel 2015.

Questa volta nessuno ha fatto finta di non vedere. La notizia ha scatenato una marea di reazioni allarmate, perché - se confermata - potrebbe avere conseguenze disastrose per tutti: governi, multinazionali, utenti.

Al Nist, il National Institute of Standards and Technology, l'ente che ha approvato quel protocollo di sicurezza basato sul "Dual_EC_Drbg" e ne dovrebbe tutelare l'integrità, sono nel panico. "Non ne sappiamo niente", hanno detto dalla direzione, preoccupata per la crisi di fiducia che la rivelazione di Snowden ha generato. La Rsa Security, la compagnia americana che produce i sistemi di autenticazione delle chiavette token fornite dalle banche per i correntisti online, ha avvertito i suoi clienti di smettere di usare quelle con l'algoritmo con la back door, specificando di non "avere niente a che fare con questa possibile intrusione".

E nonostante sia l'agenzia di spionaggio americana, sia i colossi del web, neghino con forza che ciò sia mai avvenuto, la back door permetterebbe di scavalcare il protocollo di sicurezza SSL che protegge il "cloud" di Google, la grande nuvola di bit che contiene le nostre email, i nostri documenti, i file di google maps. Tutto.

INTERNET VA RICOSTRUITO?
Per dirla con le parole di Bruce Schneier , il capo della sicurezza di British Telecom e padre mondiale della crittografia, "il governo statunitense ha tradito Internet, ha minato le basi di un fondamentale contratto sociale".

La portata di questa storia ora non sfugge più. Ad oggi non esiste comunicazione sul web che possa più dirsi sicura. Mail, chat, software di messaggistica, telefonate. La crittografia era l'ultima barriera contro la "pesca a strascico" di miliardi e miliardi di dati messa in atto dalla Nsa. "Riesce a decriptare veramente tutto? - si chiede Matteo Flora, esperto di informatica forense - Non credo. Non ha il passepartout per tutte le "serrature" di protezione inventate dai cyberesperti di sicurezza, altrimenti non chiederebbe formalmente la collaborazione dei vari Facebook, Google, Microsoft e altri. Però ora sappiamo che sta raccogliendo "chiavi" per decrittare, prima o poi le avrà tutte". Ad esempio, la Nsa l'8 agosto scorso non aveva ancora trovato la chiave per scardinare Lavabit, il servizio di posta elettronica criptata su cui si appoggiava Snowden. Piuttosto che fornire al governo americano l'algoritmo, il fondatore Lader Levison ha deciso di chiudere il servizio lo stesso giorno.

Come se ne esce? I governi di Brasile, India e Germania stanno pensando a un rimedio anch'esso epocale. E costosissimo. Costruire una rete alternativa, in cui il traffico dei pacchetti di dati rimanga in ambito regionale, che non debba cioè transitare a migliaia di chilometri di distanza nei server posti sul suolo americano. In altre parole, ricostruire Internet.

19 aprile 2013

Come installare Chrome in un diverso disco


1 Download Chrome from Google's website (see Resource 1) and click "Next" through the automatic installation process. During the installation, Chrome will download to your default hard drive. This is usually the "C" drive.2 Click on the Windows "Start" button, and click "Computer."3 Click on "Users" and your user name.4 Click "AppData," "Local" and "Google."5 Right-click on the "Chrome" folder and select "Cut."6 Return to the Computer window, and click on the drive where you want to install Chrome.7 Right-click in an empty space on the screen and select "Paste." Chrome's files are removed from the original location and placed on the new drive.8 Download free junction software from the Microsoft Tech Net website (see Resource 2). Google Chrome is designed to run from a specific location on your computer, but a junction program lets you redirect the software to a new location without any errors.9 Right-click on the "junction.zip" file, and select "Extract All."10 Right-click on the extracted "junction.exe" file and select Cut.11 Return to the Computer window and click on the "C" drive.12 Click on "Windows" and "system32."13 Right-click in the folder and select "paste."14 Click on the Start button.15 Enter "cmd.exe" into the "Search programs and files" field at the bottom of the Start menu.16 Double-click on the "cmd.exe" to open up a DOS prompt.17 Type the following into the command prompt, including the quotes and substituting your user name and the new Google chrome drive location in the parenthetical fields: junction.exe "C:\Users\(your user name)\AppData\Local\Google\Chrome" "(the new location of Google Chrome)"

11 marzo 2012

Democrazia e Grandi Opere


di Furio Colombo da IlFattoQuotidiano
La democrazia ha un limite. Finisce dove cominciano le grandi opere. Sentite Violante: “Ci sono molti modi legali di contestazione. Dopodiché se si deve fare o no una grande opera non lo possono decidere i cittadini, perché riguarda molti altri che gli abitanti, mettiamo, di Bussoleno.(…). Poi deve scattare una solidarietà reciproca. Anche il cittadino deve dare dal basso la solidarietà all’opera pubblica. Senza grandi opere nessun Paese si sviluppa.” (Il Corriere della Sera, 5 marzo 2012). In questo testo esemplare le parole chiave sono “consultazione”, che significa che puoi presentarti e dire la tua opinione e poi tornare a casa; “solidarietà”, che è richiesto come un sentimento a senso unico: dei cittadini verso lo Stato, non dello Stato verso i cittadini; “radicalizzazione”, che descrive la propensione sbagliata a dire no alla grande opera; “estraneità” dei cittadini alla decisione: “non possono decidere gli abitanti di un luogo”.

Però tutti i consultati sono di volta in volta gli abitanti di un luogo. Viene così sancita con chiarezza la sacralità della grande opera. Infatti nel testo citato dal Corriere le parole “Grandi Opere” sono sempre scritte con la maiuscola. Trascrivo dalla stessa citazione: “Non può essere messo sulle stesso piano chi adempie a una decisione nazionale e internazionale già democraticamente presa e chi impedisce a un cantiere di lavorare. È responsabilità di governo far rispettare le leggi.”

Un ponte inesistente collega una parte di questa frase all’altra. Sono le parole “decisione nazionale e internazionale democraticamente presa.” Qui entriamo nello stesso gioco psicologico che rende possibili le guerre, anche contro il sentimento della opinione pubblica. Fanno eco da lontano le parole ferme, virili, di Mauro Moretti, capo delle Ferrovie dello Stato: “Il tracciato Torino-Lione è fissato. Andiamo avanti con quello.” Seguite la storia della cosiddetta mediazione fra gli stessi cittadini della stessa valle sotto diversi governi (Prodi, D’Alema, Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti ), condotta da un Architetto Virano di Torino, e vi rendete conto che ci si riunisce intorno alla decisione già presa, non intorno a un dibattito fra il sì e il no. Il no è cancellato all’origine. Virano: “Non c’è nulla di razionale in questa protesta. La Tav ha assunto un valore simbolico per una certa enclave politico-sindacale”. Già da queste parole è evidente la piega sbagliata della missione. Si tratta di persuadere, non di mediare. Non si media con una grande opera (usare le maiuscole) indispensabile all’Italia e al mondo.

Ecco il problema della democrazia di fronte alle grandi opere. Dove ci si presenta per dire no? E perché la grande opera è sempre, di volta in volta, voluta da tutti, meno che da coloro che, di luogo in luogo, si oppongono?

Impossibile proseguire senza far notare due aspetti di eventi come questi: uno è il costo, che è la tipica caratteristica della grande opera, molto più del suo senso o destinazione. Il costo è sempre immenso. E il secondo è il rapporto fra la grande opera in discussione e le altre grandi opere appena fatte, in corso o in attesa di costruzione. Anche per esse il costo è immenso. Possono dei cittadini, sia pure organizzati e coalizzati, fermare il dilagare di simili somme di danaro, con tutte le sue conseguenze imprenditoriali e politiche che fatalmente avranno, mentre quel danaro praticamente illimitato impianta cantieri e fa nascere foreste di gru e di ruspe?

E non è un grave danno per tutti se – con la tua ostinazione a dire no – produci perdite che aumentano il costo già immenso a carico di noi tutti? Il fatto è che ogni volta che si affaccia all’orizzonte della vita pubblica una grande opera che, di volta in volta, porta il rischio di devastare un paesaggio e cambiare milioni di vite, si produce una sorta di tsunami. La natura di questo tsunami è che investe i cittadini da una parte e dall’altra dello schieramento politico. Tutte le costosissime grandi opere sono trasversali e sono sempre unica strada per lo sviluppo, sempre per il bene di tutti.

Un buon esempio di indispensabile grande opera e di rivolta allo stesso tempo vasta e impossibile dei cittadini è il cosidetto “corridoio tirrenico”, una autostrada da Civitavecchia a Livorno che stanno per costruire lungo il mare proprio nei giorni della Tav, una autostrada chiesta da nessuno che cancellerà la Via Aurelia. La nuova opera correrà accanto alla ferrovia, che c’è e che funziona per merci e passeggeri. Ma orde di Tir inquinanti invaderanno lo splendido lungomare tirrenico, perchè serve al Paese, dà respiro al trasporto su gomma che ci collega al mondo. Ma a Torino il carico di quei Tir dovrà passare sul treno nuovo fiammante della Tav, che avrà sventrato la Val di Susa, per non inquinare la valle e per non isolarci dal resto del mondo. Le due grandi opere sono volute con passione da destra e sinistra, contro due diverse popolazioni italiane che cercano invano di salvare la loro terra. Lo so che c’è un che di folle, da film dell’assurdo, in questa storia. Ma c’è anche “una forte volontà politica” saldamente trasversale. E un costo immenso. Vi basta per scrivere “grandi opere” con la maiuscola e usare il “codice Violante” per mettere al loro posto (piccolo, irrilevante) i cittadini riottosi?
11/3/12