02 marzo 2006

Un pagliaccio in carriera

Un pagliaccio in carriera

di ALESSANDRO ROBECCHI

E se adesso qualche assassino imbottito di tritolo fa saltare le nostre metropolitane, le nostre olimpiadi, le nostre stazioni dei treni, noi - noi poveri italiani in ostaggio di un governo di pazzi - a chi ne chiediamo conto? Al ministro delle riforme? Al premier che si allea coi nazisti? Ai nostri ragazzi laggiù che sparano alle ambulanze? Ai corifei soavi della guerra di civiltà che sorvolano dannunzianamente i supermercati per comprare burro danese? Il ministro Calderoli lo fa per difendere l'Occidente, ma l'Occidente sta messo così male da avere simili difensori? Spargere piscio di porco dove deve sorgere una moschea, come hanno fatto i militanti del partito di Calderoli, è una buona difesa? La faccia di Borghezio è uno spot efficace per difendere l'Occidente?

Non più tardi di ieri una mia amica mi dice: troppo facile far ridere con Calderoli, basta la parola, e non ho potuto che darle ragione. Ma è passata appena qualche ora e oplà: da ridere non c'era più niente. Il ministro che ha l'amante e ci fa enormi pipponi sulla famiglia faceva ridere, è vero. Il suo avvocato che scrive ai giornali di gossip diffidandoli di trattare la faccenda, fa ridere anche questo. C'è un banchiere in galera che dice di aver allungato allo stesso ministro alcune decine di migliaia di euro, e anche questo fa abbastanza ridere. Ma se a simili campioni di comicità si consente di giocare coi fiammiferi vicino alla benzina, la faccenda cambia, e Calderoli passa di categoria: da pagliaccio (ancorché ministro) ad agente provocatore.

Non sarà tutta colpa di Calderoli: se un partitino dal bislacco estremismo che raggiunge a malapena il quattro per cento può sfidare un miliardo di musulmani, è perché qualcuno gliel'ha permesso, gli ha dato un potere smisurato (ministri, reti televisive, sottosegretari), perché certi intellettuali organici al governo sono accorsi con taniche di benzina appena vedevano un accenno d'incendio. A proposito di far ridere, che dire di un governo - Berlusconi e Fini in testa - che cerca oggi di scopare sotto il tappeto un personaggio che fino a ieri teneva in salotto, in bella mostra, addirittura in un ministero strategico come quello delle riforme, e prima ancora come vicepresidente del Senato? Dov'era quel serio statista di Fini quando ministri del suo governo arringavano le folle padane con argomenti degni di una vecchia birreria di Monaco di Baviera? Intemperanze. Ragazzate.

Ma Calderoli è poca cosa. Così poca cosa che non riesce nemmeno ad essere lui il problema. Il problema, semmai, è quello di un'incapacità cronica nel fare politica, e politica estera in particolare. Le pacche sulle spalle e le serenate all'amico Putin hanno prodotto solo la chiusura dei rubinetti del gas. Sarà anche vero, come dice Magdi Allam sul Corriere, che Gheddafi non aspettava altro che un pretesto, ma offrirglielo su un piatto d'argento rappresenta la più alta forma di dilettantismo possibile e immaginabile. A meno che non sia malafede, e la cosa è ancor più grave.

Ora si annuncia una «intensa attività diplomatica» presso i paesi arabi, cioè Fini con l'aria contrita che va a spiegare, a chiedere scusa. Ma non sarà facile spiegare come un paese democratico abbia tra i suoi più importanti ministri un rozzo estremista fallaciano che insulta in tivù la giornalista mediorientale e la chiama «la signora abbronzata». Né sarà facile spiegare che per cacciare dal governo un figuro simile serve l'ok del boss di Gemonio. L'«intensa attività diplomatica» non riuscirà a spiegare l'inspiegabile, e il novanta per cento degli italiani che con lo scontro di civiltà non sono d'accordo (come il novanta per cento dei musulmani, del resto) rischiano di restare ostaggi, basiti, impauriti da una banda di ciarlatani che per governare non ha esitato a imbarcare piccoli piromani.

Oggi, si segue con una certa trepidazione il dibattito sui candidati impresentabili, ma sarebbe bene ricordare chi ci ha presentato Calderoli, che per magia è diventato impresentabile soltanto all'ultimo minuto della legislatura. Forse Berlusconi preferisce che si parli di qualche morto a Bengasi piuttosto che dell'avvocato Mills o del disastro economico in cui ha precipitato il Paese, e dunque la strategia è sempre quella: se c'è un fuocherello si appicca l'incendio, se c'è l'incendio si brucia tutta la prateria. E quelli che ci abitano, in questa prateria, cazzi loro: dopotutto, sono soltanto semplici italiani.

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