14 settembre 2006

Se gli insegnanti vi sembran troppi

Alcuni giorni fa è venuta trovarmi a Roma la mia amica Mariangela che da molti anni insegna nelle scuole italiane all’estero, ha passato cinque anni in Inghilterra e da due anni lavora a Manchester a stretto contato con le scuole inglesi. E’ stata l’occasione per ricordare i vecchi tempi del lavoro sindacale fatto insieme a Milano. Ma tra ricordi, nostalgie e polemiche (che tra due buoni amici di sinistra non mancano mai!) c’è stato anche il tempo per parlare di scuola inglese.

A questo proposito, tra le altre cose che non mancherò di raccontare in un altro momento, mi ha colpito il fatto che nelle scuole elementari di Manchester l’insegnante, che lì è unico, lavori dalle 9 alle 15 con un orario che prevede un quarto d’ora d’interruzione corrispondente alla ricreazione dei bimbi e un’ora di intervallo mensa in cui l’insegnante non segue gli alunni ma si fa gli affari suoi. Nell’insieme 4 ore e tre quarti di insegnamento frontale per cinque giorni alla settimana, poco più delle 4 ore e 24 minuti medie di un maestro nostrano impegnato su un orario di 5 giorni alla settimana. Ho chiesto allora chi vigilasse sui ragazzi durante la mensa e la ricreazione. Mi sono sentito rispondere che esistono tre o quattro persone fornite dal comune che svolgono questo compito. E che esiste anche per ogni classe un assistente, una specie di factotum, sempre pagato dal comune e prevalentemente non qualificato dal punto di vista pedagogico, che passa tutta la mattina con l’insegnante e gli alunni svolgendo compiti di sorveglianza, di approntamento dei sussidi didattici, delle fotocopie o quant’altro, di cura dei ragazzi svantaggiati e, in caso di necessità, di sorveglianza della classe.
Cito questo fatto perché, come periodicamente succede, in questi giorni siamo bersagliati da un ritornello che dice: gli insegnanti sono troppi, per questo la scuola costa molto e gli insegnanti sono pagati poco. E qui via sciorinare i dati: in Italia un insegnante ogni 10 alunni, in quest’altro paese invece uno ogni 12, uno ogni 14, uno ogni 16 ecc.
Già! Ma mi chiedo nel caso dell’Inghilterra, che abbiamo appena visto coloro che curano i ragazzi a mensa o che fanno gli assistenti in classe entrano nel conto? Ne dubito! Anzi, nel caso specifico sono sicuro di no, trattandosi di personale non qualificato per insegnare. E non entrano neppure nella contabilità del Ministero dell’Educazione trattandosi di dipendenti comunali.
Così come dipendono dai comuni gli amministrativi e i bidelli, i quali , contrariamente a una leggenda metropolitana che li voleva una peculiarità solo italiana, esistono in tutto il mondo, solo che raramente dipendono dalla stessa amministrazione che gestisce il personale docente e fanno parte degli stessi sindacati di categoria dei docenti.
Ma che siano dipendenti di qua o di là, docenti o ata che siano, i loro stipendi sono comunque un carico per la collettività e la pretesa dei rigoristi nostrani che urlano alla troppa spesa per la scuola si riduce in realtà ad una semplice differenza di voci di spesa e di capitoli di uscita nei bilanci statali, non ad una reale riduzione della spesa pubblica e del personale, dal momento che, anche se magari un assistente costa meno di un insegnante, gli stipendi degli insegnanti sono notevolmente più alti..

Qualcuno potrebbe pensare che il caso inglese costituisca un’eccezione. E invece no. In Francia succede la stessa cosa. Con una popolazione pari all’Italia e quindi una popolazione scolastica non tanto dissimile la Francia sembra avere un numero di insegnanti sensibilmente inferiore: circa 600.000 contri i nostri 800.000. Ma se si va a veder la totalità del personale impegnato nel sistema scolastico francese (università escluse) si scopre che in Francia vi lavorano circa 1.600.000 addetti contro 1.100.000 impiegati in Italia.
Come mai questa differenza? Essa è dovuta a quattro fattori.
Il primo: in Francia il sistema scolastico fa capo a tre ministeri diversi: quello dell’Educazione nazionale (che retribuisce la maggior parte dei docenti), quello della Gioventù e dello Sport (che retribuisce i docenti di educazione fisica) e quello dell’Agricoltura e della Pesca ( che retribuisce i docenti dei licei agricoli, il corrispettivo dei nostri Istituti Agrari).
Il secondo: a partire dal 1998 sono stati introdotti con compiti di assistentato figure a contratto quinquennale: sono giovani diplomati al primo impiego, si chiamano aiuto-educatori ( aides-educateurs), sono 70.000 e la loro assunzione è finanziata dal Ministero del Lavoro, con i fondi per il primo impiego. I loro compiti variano dalla vigilanza allo studio sussidiario, dall’animazione alla cura in mensa e, se le competenze lo consentono, dai laboratori di informatica alla sostituzione degli insegnanti assenti. Non si tratta di insegnanti, non ne hanno la qualifica e spesso neppure un diploma utile, ma ne svolgono molti compiti.
Il terzo: esistono nel settore dei licei professionali una serie di insegnanti a contratto, professionisti impegnati nelle materie di tecnica professionale: il loro contratto non sempre è annuale né per orari definibili di cattedra. Non vengono certo conteggiati tra i docenti stabilizzati.
Il quarto: esistono oltre al personale ata vero e proprio (bidelli, amministrativi e tecnici), figure non docenti inferiori e superiori, che potremmo definire paradocenti: i MI-SE, sorveglianti, a 36 ore settimanali, costituiti da studenti magistrali “in carriera”, addetti ad animazione e studio sussidiario; i MA, docenti ausiliari, non abilitati ma inquadrati nel sistema; i consiglieri di educazione e i consiglieri principali di educazione, sorta di vicepresidi distaccati o di coordinatori disciplinari; i Co-psy, orientatori psicopedagogici; i medici scolastici che non si limitano al pronto soccorso ma tengono i corsi di igiene. Di prevenzione sanitaria e di educazione sessuale.Tutte figure, tranne i consiglieri di educazione, che difficilmente rientrano nel computo del personale docente vero e proprio.

Insomma se si va guardare nelle cuciture della scuola internazionale ( qui ci limitiamo a quella europea) scopriamo che differenziando le figure si possono alterare anche dei conti, nascondere delle voci, ma, a meno che non si vogliano tagliare drasticamente i servizi, alla fine i conti pubblici debbono poi tornare o sotto al forma di spese del ministero dell’istruzione o sotto quella di altri ministeri o sotto quella del finanziamento degli enti locali, per non dire persino dei finanziamenti alle aziende.
A questo proposito è illuminante l’esempio della Germania. Qui operano nel settore dell’educazione duale circa 700.000 tutor aziendali accreditati con appositi esami di “mastro operaio” che curano gli apprendisti che a loro volta apprendono nell’alternanza scuola-lavoro. Si tratta di 700.000 persone pagate dalle aziende e che probabilmente ricevono un’indennità o un incentivo per il ruolo che svolgono verso questi ragazzi, ma per il quale le aziende stesse ricevono dallo Stato finanziamenti pubblici. Non si vuole qui entrare nel merito dell’efficacia del metodo, questione che da sola potrebbe essere oggetto di ampie dissertazioni, ma non si vorrà far credere che lo stato tedesco sborsi in indennità per 700.000 (settecentomila!) persone meno di quanto sborsi il nostro ministero per gli stipendi di 24.000 (ventiquattromila!) insegnanti tecnico pratici che operano nei laboratori delle scuole italiane più o meno con lo stesso obiettivo di insegnare ai ragazzi a manovrare una macchina utensile o a costruire un impianto?

Naturalmente si potrebbe continuare citando altre decine di casi. Sempre per rimanere nell’Unione Europea: il mediatore che lavora a combattere dispersione e insuccesso scolastico tra i figli degli immigrati nelle scuole del Belgio francofono, o il supporto libero del Belgio fiammingo, il Lehrer fur sonderpaedagogisce Lehramter tedesco, simile al nostro insegnante di sostegno, o il Didaskalos Idikis Agogis greco che lavora sui casi problematici, o il Profesor de Apoyo spagnolo, che come i nostri “sostegnisti” spesso denuncia di non essere usato per i portatori di handicap ma per supplire i colleghi assenti, o gli Special Needs Assistants della scuola irlandese, o i vari Sonderschullehrer, Begleitlehrer, Lehrer fur muttersprachlichen Unterricht austriaci, o il Profesor de Apoio Educativo portoghese, assistenti non “sostegnisti” stavolta, o i finlandesi Eritysluokanopettaja, Erityispettaja, Koulunkavatiayustaja troppo difficili da scriversi per chiedersi anche cosa facciano, o lo Specialpedagog svedese o gli Asistent Ucitela cechi e slovacchi e gli ungheresi Gyogipedagogus, Szocialpedagogus e Konduktor, o gli Eripedagogoog estoni, gli Specialusis Pedagogas lituani, o i Facilitatori. maltesi. Chissà quanti di questi soggetti che operano nella scuola in funzioni docenti, paradocenti o altro vengono calcolati quando si fanno i conti sul corpo docente.

Noi italiani abbiamo fatto una scelta diversa negli anni del nostro boom scolastico: quello di caricare pressoché tutte le spese allo Stato e tutti i compiti alla figura docente, da quelli più umili come vigilare in mensa a quelli più difficili come sostenere in classe i portatori di handicap. Anche noi avevamo le assistenti nella scuola materna ad esempio o le insegnanti comunali di doposcuola, ma li abbiamo riassorbiti le prime, prevalentemente diplomate, tra le insegnanti, mentre i doposcuola comunali sono stati a poco a poco sostituiti da quelli statali. E abbiamo un sistema di integrazione generalizzato che occupa quasi 100.000 insegnanti di sostegno.
E’ stato forse uno sbaglio fare “todos caballeros”?
Se ne potrebbe anche discutere da un punto di vista pedagogico o gestionale, ma non certo da un punto di vista contabile. Tanto più che nello stesso momento in cui si dicono queste cose si tagliano i fondi agli enti locali che eventualmente dovrebbero subentrare in questi servizi che, fatti dall’uno o dall’altro, sono indispensabili. Come si faccia poi a legare a ciò anche eventuali stipendi migliori per i docenti rimasti andrebbe spiegato: o si incentiva un cannibalismo tra docenti di serie A e docente di serie B o si pensa che a livello decentrato esistano trucchi migliori per falsare i bilanci o per imbrogliare i lavoratori.
In verità alcuni fatti ci dimostrano che l’alternativa si gioca tra la perdita di un servizio o la sua qualificazione insieme alla negazione dei diritti di chi vi lavora. In Francia lo scorso anno il governo Raffarin decise di dare un taglio alle spese per la scuola. Ci fu una levata di scudi degli insegnanti e dei loro sindacati. Non taglieremo i docenti, disse Raffarin, taglieremo gli aiuto-educatori e i sorveglianti. Ma il servizio scolastico non funzionerà, ribatterono le famiglie. Ci metteremo ex-insegnanti già in pensione e casalinghe senza figli, che costano meno e magari a casa si annoiano pure, fu la risposta.
E’ dunque fuori luogo il timore che esprimono i nostri maestri elementari quando si comincia distinguerli in maestri tutor e maestri coadiutori (aides-educateurs?)? E’ fuori luogo il pensare che il vero risparmio a cui si mira quando si dicono queste cose non stia solo nella riduzione degli insegnanti per pagare meglio i restanti ma nel creare le condizioni perché una parte di loro sia pagata meno, sia ricattabile e abbia meno diritti?
Pino Patroncini

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