17 aprile 2007

Ve lo dico in cinese

Io ve l'avevo detto qualche settimana fa. S.O.S. da Milano, venite a salvarci. E voi: niente. Se volete ve lo dico in cinese!

Uno. Può seriamente Milano candidarsi all'Expo, scintillante vetrina del mondo, se non sa dove mettere 15 mila cinesi? Nel dubbio, raccoglie soldi con le multe ai cinesi.

Due. Il problema, a quanto pare, è spostare i cinesi che si ostinano ad avere i magazzini in una zona a ridosso del centro. La deportazione dei cinesi. Bisogna trovare un'area per l'ingrosso dei cinesi: qualcuno a Milano ha già gli occhi a forma di dollaro, e non è cinese per niente.

Tre. Generosamente il comune di Milano si offrirebbe di fornire l'area, ovviamente con «un introito alle casse dell'amministrazione». In cinese si legge così: ti rompo i coglioni finché non mi dai dei soldi.

Quattro. La città non è nuova alle deportazioni di massa. Dal centro alle periferie quando si è terziarizzato il centro. Poi il quartiere Garibaldi ha cacciato i poveri e si è fatto fighetto: una finta Parigi come può immaginarsela un cumenda milanese. La stessa pulizia etnica su base di reddito è prevista all'Isola, quartiere popolare che sarà grattacielizzato. Favelas e baraccopoli sono in aumento.

Cinque. Interessante risvolto mediatico: appena i cinesi si sono incazzati per una multa, i giornali si sono riempiti di Dragoni, Triadi, affari loschi, mafia cinese e spaventosi reati. Non so in Cina, non so a casa Moratti, ma a casa mia (Milano) questo si chiama criminalizzare.

Sei. I cinesi hanno valorizzato una zona che cadeva a pezzi pagando tanto e facendo lievitare i valori immobiliari. Ora non servono più: il metroquadro decinesizzato varrebbe il doppio.

Sette. Nonostante Milano sia saldamente in mano alla peggior destra da quattordici anni, per veder sventolare una bandiera rossa abbiamo dovuto aspettare qualche bottegaio cinese. Allora, venite a salvarci o no? (e non dai cinesi).

Alessandro Robecchi

Il manifesto

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