Trump manda le ruspe
Giunti al porto di Haifa i primi 70 bulldozer D9 richiesti da Netanyahu. Il campo di internamento di Rafah è sempre più concreto. Ieri varie fonti definivano vicino l’accordo per una tregua di 60 giorni e il rilascio degli ostaggi.
Michele Giorgio
GERUSALEMME
Quando, qualche giorno fa, durante una riunione del gabinetto di sicurezza israeliano, il capo di Stato maggiore Eyal Zamir ha chiesto se l’esercito sarà obbligato a «governare» due milioni di civili palestinesi a Gaza, il premier Netanyahu, secondo la stampa locale, avrebbe risposto: «Ti porterò dieci D9 per preparare lo spazio umanitario». I D9 sono le gigantesche ruspe della Caterpillar che le forze armate israeliane usano per spianare terreni e abbattere le case palestinesi. Lo «spazio umanitario» è invece la cosiddetta «città umanitaria» a Rafah: l’enorme campo in cui sarà rinchiusa la popolazione di Gaza, annunciato all’inizio della settimana dal ministro della Difesa Israel Katz. I primi settanta D9 ordinati da Israele agli Stati uniti e promessi da Netanyahu a Zamir sono da ieri al porto di Haifa.
DOPO MESI di ritardi, i bulldozer e altre attrezzature destinate alle forze di terra israeliane sono stati scaricati da un mercantile e, in queste ore, vengono trasferiti in centri specializzati per il blindaggio. Donald Trump, mentre intrattiene la comunità internazionale annunciando da settimane una «tregua imminente» a Gaza, fornisce le ruspe necessarie ai progetti del governo Netanyahu per realizzare l’«emigrazione volontaria» dei palestinesi.
Solo in una realtà distorta si può parlare di libero arbitrio in relazione a persone che hanno trascorso quasi due anni sotto continui bombardamenti aerei, in tende o tra le macerie, soffrendo la fame e la sete, senza cure mediche, senza elettricità e senza molto altro. A novembre, l’amministrazione Biden aveva bloccato la vendita dei D9 a causa del loro utilizzo da parte dell’esercito israeliano per radere al suolo le abitazioni di Gaza. Appena rientrato alla Casa Bianca, Trump ha rimosso il blocco, approvando inoltre la fornitura a Israele di altri 7,4 miliardi di dollari in bombe e missili. Il Times of Israel riferiva ieri che, dal 7 ottobre 2023, 870 aerei da trasporto e 144 navi hanno consegnato a Israele più di 100.000 tonnellate di armamenti e attrezzature militari, provenienti principalmente dagli Usa. Ieri il Segretario di Stato Marco Rubio ha annunciato sanzioni americane contro la Relatrice dell’Onu Francesca Albanese che ha denunciato nel suo ultimo rapporto le aziende che «ricavano un profitto dal genocidio a Gaza».
«QUELLO CHE SI DEFINISCE l’unico paese democratico in Medio Oriente, grazie all’esercito ‘più morale del mondo’, sta ora progettando una ‘città umanitaria’ nella Striscia di Gaza. Non importa in quale cellophane orwelliano la stiano confezionando. Il primo ministro Benyamin Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz stanno apertamente portando avanti il progetto di accampare i cittadini di Gaza in campi profughi, in preparazione del loro trasferimento fuori dall’enclave». Comincia così l’editoriale pubblicato ieri dal quotidiano Haaretz, uno dei pochi media israeliani schierati contro le politiche del governo Netanyahu a Gaza. «Il fatto che Katz abbia svelato il suo piano per una città destinata a centinaia di migliaia di palestinesi, chiusi e sotto sorveglianza, senza possibilità di andarsene, come una ‘soluzione umanitaria’, non è altro che un’agghiacciante distorsione linguistica», ha aggiunto il quotidiano di Tel Aviv .
ALTRETTANTO esplicito il giudizio di Amos Goldberg, storico dell’Olocausto presso l’Università Ebraica di Gerusalemme. Il ministro Katz, ha detto Goldberg, citato dal Guardian, delinea piani per la pulizia etnica di Gaza e la creazione di «un campo di concentramento o di transito per i palestinesi» prima che vengano espulsi. «Non è né umanitario né una città», ha aggiunto, «una città è un luogo dove hai possibilità di lavorare, di guadagnare denaro, di stabilire relazioni e libertà di movimento. Ci sono ospedali, scuole, università e uffici. Non è questo che (Netanyahu e i suoi ministri) hanno in mente. Non sarà un luogo vivibile, proprio come le ‘aree sicure’ (per i civili di Gaza, ndr) sono invivibili ora». Quindi ha posto un interrogativo inquietante: «Cosa succederà se i palestinesi non accetteranno questa soluzione e si ribelleranno?». Poche altre le voci israeliane che si sono levate contro quelli che è impossibile non definire campi di internamento.
LA POSIZIONE del governo Netanyahu, e quella di un’ampia porzione dell’opinione pubblica, è stata rappresentata da Ron Ben Yishai, il più popolare degli analisti militari. «Gaza non è un ghetto, né un campo di concentramento», proclama perentorio in un podcast sul portale Ynet, lamentandosi poi per i limiti che l’offensiva israeliana incontra a Gaza. Per Ben Yishai, l’esercito combatte «con una mano legata dietro la schiena» perché sa che potrebbe colpire anche gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas. Da Doha intanto ripetono: «Intesa vicina».