di Beppe Sebaste
l'Unità 16 gennaio 2009
Quando in Francia si accorse di essere stato condannato al carcere a vita, e che tutte le colpe e gli omicidi dei Pac (Proletari armati per il comunismo) gli erano stati buttati addosso, Cesare Battisti era incredulo. Non è vero che era scappato per non essere giudicato, fu giudicato (e condannato a 12 anni di carcere per banda armata) nel 1981, e trasferito nel carcere di Frosinone, non a caso destinato a chi non fosse colpevole di crimini che avessero comportato la morte di persone. Evase dalla pena, non dal giudizio. Il processo successivo si svolse in contumacia. Battisti passò da un incubo all’altro, in una trappola senza uscita, da quella dei Pac e della lotta armata - da cui uscì e si dissociò già nel 1978 – a quella di un processo kafkiano che lo condannò all’ergastolo sulla base di testimonianze di pentiti – i capi dei Pac Pietro Mutti e Arrigo Cavallina – che addossarono a lui assente ogni colpa ed ebbero una condanna di 15 anni. Messi insieme, tutti gli elementi di dubbio fanno una montagna. E pochi ricordano che Battisti si è sempre detto innocente dei delitti di cui è stato condannato».A parlare così – accettando di camminare su un campo minato oggi in Italia - è la scrittrice Fred Vargas, i cui romanzi polizieschi, brillanti e innovativi, sono molto noti e apprezzati anche in Italia. Ma Fred Vargas è anche una ricercatrice e studiosa di archeologia e paleontologia (precisamente è archeozoologa), abituata a cercare con ostinazione verità storiche con un paziente lavoro di scavo, reperimento, concatenazione di frammenti, infine ricomposizione di un senso come un puzzle. Con questo spirito si è dedicata da anni alla ricostruzione di un’altra verità storico-giuridica su Cesare Battisti, dedicando un libro alle sue vicende processuali. A Parigi Battisti si era rifatto una vita (ha due figlie, una di tredici, l’altra di ventitrè anni) indossando il fragile abito di rifugiato politico (oggi in via di estinzione oltralpe), e diventando a sua volta autore di romanzi. Fred Vargas si è prodigata affinché, in nome della legislazione francese, fosse negata la sua estradizione in Italia. Mentre la Francia ne decideva l’estradizione, Battisti scappò in Brasile. Successivamente arrestato, il ministro della Giustizia di quel Paese, in nome dell’articolo 5 della Costituzione brasiliana, gli ha ora accordato l’asilo politico. Di fronte al coro unanime e compatto di condanna per questa decisione, la posizione garantista di Fred Vargas è assai isolata.Quali sono le sue contro-verità?«Innanzitutto confesso che mi è molto difficile parlare senza la paura di offendere la sensibilità degli Italiani. Non sono in nessun modo contro l’Italia, Paese che amo molto, e piango ogni vittima della violenza politica. Odio ogni violenza e non sono una paladina della sinistra estrema. Credo però che la decisione del ministro della Giustizia del Brasile sia onesta, giusta, coraggiosa e umana. Tiene conto dei diritti giuridici, ma anche dello stato di malattia di Battisti, attualmente distrutto. Per quanto riguarda i diritti, anzi il Diritto, molti insigni giuristi brasiliani – posso citare Dalmo Dallari e Milo Batista, oltre al senatore Edoardo Suplici – hanno sollevato, convincendosi della sua innocenza. Così come il ministro dei Diritti umani del Brasile, Paolo Vanucci. La condanna inflitta a Cesare Battisti non solo fu senza prove effettive e sulla base di testimonianze contraddittorie, oltre all’eccessivo peso dato ai pentiti; ma si svolse in contumacia, in assenza dell’imputato, che non ha quindi potuto difendersi».Come sarebbe potuto accadere?«Per renderlo regolare furono prodotti tre mandati, cioè tre lettere di incarico agli avvocati per rappresentarlo, a firma di Cesare Battisti: due con data 1982, una 1990. Qui interviene il mio mestiere di storica e di ricercatrice. Ho potuto dimostrare che si tratta di falsi, contraffazioni anche goffe della sua scrittura e della sua firma ottenute tramite il calco per trasparenza di una lettera precedente dal Messico. Si riconosce in tutte l’identico modello, e che le firme sono state eseguite nello stesso breve lasso di tempo. Risparmio i dettagli tecnici. Il fatto è che senza quelle lettere il processo non si sarebbe potuto svolgere. Di questo e di altri aspetti della vicenda processuale di Battisti ho parlato col Segretario Nazionale della Giustizia del Brasile, e anche con l’ambasciatore italiano, persona squisita. Quest’ultimo mi ha detto di essere stato turbato, come uomo, dalla mia ricostituzione dei fatti, ma che come ambasciatore non poteva che richiedere l’estradizione di Battisti. Il mio mestiere è la verità, non mi interessa difendere un’ideologia, né la sinistra estrema. Scavo la terra, dai frammenti restituisco la verità storica. Ho studiato per oltre dieci anni la propagazione della peste nel Medio Evo, un lavoro in cui non ci si può sbagliare nemmeno di un bacillo, dove occorre analizzare l’interno di una pulce. Il mio mestiere non è credere a qualcosa, ma cercare e trovare la verità. E’ quello che ho fatto anche con i pezzi di carta della vicenda Battisti».Ma lo status di rifugiato accordato a Battisti ha una motivazione soprattutto politica...«C’è indubbiamente un risvolto politico, e non perché qualcuno simpatizzi con le motivazioni politiche dei crimini che gli sono stati imputati. Cesare Battisti non fuggì la giustizia, nel 1981 fu giudicato e condannato. Ma i successivo processo rimanda alle leggi d’emergenza (o d’eccezione) che caratterizzarono quegli anni in Italia, e la memoria di quegli anni non viene affrontata in Italia col giusto sguardo (mentre il Brasile è molto sensibile al tema dell’amnistia). Rivedere, rimettere in discussione le modalità di quel processo significherebbe rimettere in discussione molti degli eventi giuridico-politici degli anni ’70 in Italia. Questo è il senso politico, o l’altro dubbio, se vogliamo, che ha caratterizzato credo la scelta del Brasile della presunzione di innocenza di Battisti».
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