d Curzio Maltese da venerdì di Repubblica
NeI bene o nel male, le grandi crisi come quella che viviamo hanno il paradossale vantaggio di mobilitare le energie migliori delle società e delle classi diligenti. Il '29 tanto spesso evocato avviò anche cambiamenti positivi, fecondò creazioni grandiose come il Welfare.
L'America con l'elezione di Barack Obama ha dato ancora una volta il segnale al resto del mondo, la speranza e la necessità di un cambiamento radicale nel modo di far politica rispetto al comitato d'affalÌ imperiale dei Bush. Il passo pesante della storia si sente anche nei vertici europei, nella solennità dei discorsi e delle scelte di Merkel, Sarkozy, Zapatero, Brown. Il nostro premier è quello che fa cucù. È quello che consiglia di correre al più vicino supermercato e vuotare gli scaffali, non si sa con quali soldi, così la crisi passa subito. Ricorda un verso di una canzone di Jannacci: Quelli che con una bella dormita passa tutto, anche il cancro, oh yes.
L'Italia dovrebbe essere il Paese più preoccupato e quindi impegnato sul fronte del cambiamento. In nessun altro Paese ricco è attesa una recessione tanto lunga e dura. I segni si avvertono girando per le città. Neppure negli anni di piombo o in quelli più bui delle ristrutturazioni industliali s'era vista tanta depressione a Torino, la città più manifatturiera d'Italia, da sempre convinta che ci sarebbe stato un «dopo» per tutto. Oggi questa fiducia nel dopo non esiste più, la Fiat manda in cassa integrazione, ma anche lo stabilimento Motorola chiude i cancelli. Dove si troverà lavoro?
Si avverte la crisi nella serietà dell'Onda, il movimento studentesco meno ludico della storia dei movimenti giovanili. I sessantottini, gli indiani metropolitani del '77 tutto sommato si concedevano il lusso di una ribellione contro una società affluente. Questi lottano per la riconquista di una dignità del vivere quotidiano, negata alle nuove generazioni.
Nella crisi soltanto i palazzi del potere restano immobili. Stesse facce, stessi discorsi, identiche pagliacciate. La Rai rischia di dover licenziare migliaia di persone. Ma quelli tramano per mesi intorno a una singola poltrona e alla fine la spunta, almeno per un po', un tal Villali che sembra uscito dalla commedia all'italiana d'altri tempi. Bisogna ridere? Ridere anche delle improbabili trovate governative per risolvere con un colpo di bacchetta problemi mondiali annunciate la sera stessa al talk show di turno? Una risata alla fine ci ( e non vi) seppellirà?
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